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mercoledì 30 aprile 2025

Sushi (Cafè Kappa)

Andy Warhol una volta disse: «Credo che un artista sappia fare bene qualunque cosa; cucinare, per esempio». E io ho preso alla lettera le sue parole.
Con gli altri Kappa boys, nel novembre del 2000 ho aperto e gestito per alcuni anni il Sushi Café Kappa, primo ristorante giapponese a Bologna nonché una delle esperienze più elettrizzanti della mia vita, che mi ha insegnato più di un segreto sulla cucina giapponese e sull’arte dei cocktail.
Ricordo bene come tutto è iniziato. Amavamo la cucina giapponese ed eravamo stanchi di andare a Milano (o a Roma) per mangiare sushi. Può sembrare un po’ snob, ma volevamo mettere nella ristorazione la stessa passione e lo stesso rispetto per il Giappone che dimostravamo nella cura dei manga, da quando avevamo portato il fumetto giapponese in Italia.
All’inizio immaginavamo di aprire un piccolo take away, poi ci siamo detti che un paio di mensole e qualche sgabello sarebbero stati utili, per chi avesse voluto consumare direttamente sul posto. Poi un giorno suona alla porta della redazione un ragazzo che non conoscevamo, ci spiega al citofono che aveva saputo della nostra idea di aprire un locale in centro, che lui avrebbe voluto fare lo stesso in periferia, che avremmo potuto allearci per fare insieme gli acquisti e risparmiare. La famiglia di Patrizio aveva una discoteca, ma nemmeno lui aveva esperienze di ristorazione.
Lo abbiamo fatto salire e abbiamo iniziato a sognare insieme, e in quei nuovi sogni le mensole hanno lasciato il posto ad alcuni tavolini, poi a un’intera sala ristorante, affiancata da un’altra sala in cui poter bere un cocktail in attesa del tavolo, cullati dalle note lounge di un dj.
Non so come, ma un giorno tutto è diventato realtà. Il locale ha preso vita per mano dello studio di architetti che aveva firmato le più belle discoteche della riviera romagnola, tutto specchi e cascate d’acqua. In cucina sono arrivati due cuochi direttamente dal Giappone (Mata e Toru) e poi abbiamo ingaggiato camerieri, barman, performer.
Per due anni abbiamo fatto scoprire i veri sapori del Sol Levante, prima dei tanti ristoranti cino-giapponesi, prima del turismo di massa in Giappone, prima delle mode. Ne vado molto fiero.
In quegli anni ho osservato, imitato, imparato molte delle tecniche che svelo nei miei libri di cucina. Come in questa ricetta del sushi, che nel ricettario IN CUCINA CON GLI ANIME GIAPPONESI (pubblicato da Kappalab e giunto ormai alla terza ristampa) è abbinata a Detective Conan.
Itadakimasu!

SECONDI > SUSHI (CAFÈ KAPPA)

Riso per sushi > 300 g
Aceto di riso > 70 ml
Zucchero > 1 cucchiaio
Sale > 1 cucchiaino
Alga konbu > 3x3 cm
Alga nori > 4 fogli
Salmone > 1 trancio (200 g)
Avocado > 1/2

Scaldate a fiamma bassa l’aceto di riso, lo zucchero e il sale, spegnendo il fuoco non appena lo zucchero si sarà sciolto, prima che il composto raggiunga l’ebollizione.
Aggiungete l’alga kombu e lasciate riposare la vinaigrette in frigo per 1 ora.
Sciacquate il riso in una bacinella di acqua fredda. Cambiate l’acqua e ripetete l’operazione fino a che non sarà limpida e trasparente.
Scolate il riso e fatelo riposare per 30 minuti.
Cuocetelo in una casseruola coperta, a fuoco medio, in 400 ml d’acqua.
Raggiunta l’ebollizione, abbassate la fiamma e coprite il tegame con un coperchio.
Cuocete per 13 minuti (senza sollevare il coperchio), poi spegnete il fuoco e lasciate riposare altri 10 minuti.
Trasferite il riso in un contenitore (meglio se di legno) largo e basso.
Versate la vinaigrette sul riso ancora caldo. Mescolate con una spatola bagnata facendo attenzione a non schiacciare il riso e avendo cura di sventolarlo con un giornale (l’aria favorirà il rapido assorbimento della vinaigrette).
Coprite con uno strofinaccio e tenete da parte (mai in frigo).
Tagliate a metà un avocado (non troppo maturo), eliminate il nocciolo, incidete la polpa e prelevatela con l’aiuto di un cucchiaio, quindi tagliatela a fettine.
Mettete un foglio di alga nori sul tappetino per sushi.
Stendete un pugno di riso con le mani bagnate, lasciando 1 cm vuoto lungo il bordo inferiore.
Disponete al centro le fettine di salmone e di avocado.
Partendo dal basso, arrotolate l’alga nori utilizzando il tappetino finché i bordi non si congiungono, praticando una leggera pressione in modo da sigillarli per bene.
Tagliate l’hosomaki a metà e poi ciascuna parte in 4 pezzi.
Se preferite un uramaki (come quello nella foto), capovolgete l’alga in modo che il riso sia a contatto con la stuoia e procedete dal punto 8.




venerdì 11 ottobre 2024

Beef Stew di Kiriko

Il ragazzo e l’airone, ultima fatica del premio Oscar Hayao Miyazaki, è da pochi giorni su Netflix e per celebrare l’evento voglio condividere con voi la ricetta dello stufato di Kiriko.
Nel film viene cucinata una versione alternativa del classico beef stew giapponese, preparata facendo bollire la carne di un grosso pesce che Kiriko e Masato hanno macellato insieme, mentre io vi insegnerò la versione originale del piatto, con manzo, patate e carote… quella che in Giappone pronunciano “bīfu shichū”.
Piccolo dettaglio curioso, Kiriko mangia lo stufato con un pezzo di pane e non col riso. E così faremo anche noi.
Il cibo è da sempre una delle caratteristiche più importanti del cinema di Miyazaki.  Il maestro utilizza con accortezza pietanze e bevande per radunare i personaggi, costruire i loro rapporti e aggiungere profondità alle storie.
È rarissimo vedere nei film di Miyazaki piatti ricercati con ingredienti rari e costosi: nella maggior parte dei casi troviamo infatti pietanze casalinghe, piccoli spuntini o gustosissimi bento.
Non è la prima volta che Hayao Miyazaki fa gustare lo stufato di manzo ai suoi personaggi. I fan del regista lo avevano infatti già visto cucinare da Sheeta nel film Il castello nel cielo, meglio noto con il titolo originario di Laputa (1986). È lei a prepararlo sulla nave Tiger Moth per la ciurma di pirata dell’aria capitanata da Dola. Lo cuoce a fuoco lento in una pentola molto grande e come tocco finale aggiunge una grattugiata di formaggio cheddar. Bazu e del resto della famiglia lo mangiano di gusto! Certo, nel film era Tiger Moth Stew (stufato di falena tigre), ma anche in questo caso io preferisco rimanere sul classico.

Qual è il vostro ricordo più bello legato ai film di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli?
Quale il piatto che più vi ha fatto venire l'acquolina in bocca?
Raccontami la tua esperienza nei commenti qua sotto!

Se amate gli anime e la cucina, vi ricordo che dal 18 ottobre troverete in libreria il mio nuovo ricettario, intitolato In cucina con gli anime della TV, che si affianca ai precedenti In cucina con gli anime giapponesi e In cucina con gli anime dello Studio Ghibli.
Se volete approfondire la visione del film, in libreria trovate invece il romanzo originale a cui è ispirato, intitolato E voi come vivrete?, e il saggio Studio Ghibli – La fabbrica dei sogni. Dalle origini a Il ragazzo e l'airone, che ne racconta la genesi.

SECONDI > BEEF STEW DI KIRIKO



Muscolo di manzo > 600 g
Patate dolci > 3
Carote > 3
Cipolla > 1
Brodo di manzo > 1 l
Salsa di soia > 6 cucchiai
Mirin > 3 cucchiai
Sakè > 3 cucchiai
Zucchero > 2 cucchiai
Curry > 1 cucchiaio
Triplo concentrato di pomodoro > 1 cucchiaio
Vino rosso > 1 bicchiere
Olio di sesamo > 4 cucchiai
Amido di mais > 1 cucchiaio
Sale e pepe > 1 pizzico

Sbucciate le patate dolci e tagliatele a pezzetti. Mondate e tagliate le carote a rondelle e la cipolla in quattro parti.
Rosolate la carne in una pentola bene oliata, poi sfumatela col vino rosso.
Lasciate evaporare l’alcool e aggiungete le carote e la cipolla. Fate saltare per qualche minuto.
Aggiungete il concentrato di pomodoro, la salsa di soia, il mirin, il sakè, il curry, lo zucchero e il brodo fino a coprire a filo la carne e le verdure.
Mettete il coperchio e proseguite la cottura a fuoco lento per 1 ora e ½, poi aggiungete le patate.
Cuocete altri 30 minuti, fino a quando la carne non risulterà tenera.
Togliete la carne e le verdure, e fate rapprendere il fondo di cottura aggiungendo 1 cucchiaio di amido di mais sciolto in un goccio d’acqua.
Servite la carne e le verdure su un mestolo di fondo di cottura.  

martedì 8 ottobre 2024

Sukiyaki Amamizukan

In attesa che il 18 ottobre esca in libreria il mio nuovo ricettario, intitolato In cucina con gli anime della TV, oggi vi svelo la mia ricetta del sukiyaki. Un piccolo extra per tutti gli otaku che seguono il mio blog.
In Giappone, questo piatto è da sempre un simbolo di amicizia, quindi mi fa piacere condividerlo con tutti voi.
L’abitudine di consumare il sukiyaki in famiglia nel fine settimana o nelle ricorrenze più importanti è nata a Kyoto negli anni Quaranta del Novecento. Ancora oggi la pentola che contiene il brodo caldo viene posta al centro della tavola e ognuno intinge e cuoce il suo pezzetto di cibo, chiacchierando e scherzando.
Per realizzare questo sukiyaki mi sono ispirato alla serie Kuragehime – La principessa delle meduse, una commedia romantica e surreale tratta dall’omonimo manga josei (per donne e giovani adulte) di Akiko Higashimura.
Nell’anime, a cucinarlo per le inquiline del dormitorio Amamizukan è la diciottenne Tsukimi, una otaku che si è trasferita a Tokyo per diventare un’illustratrice. Al solo vederlo mette l’acquolina in bocca!
La storia di Kuragehime inizia quando, un giorno, Tsukimi si trova a discutere col commesso di un negozio di animali per salvare una medusa, che sta morendo a causa di metodi di allevamento errati. Ad aiutarla nella difficile impresa sarà una splendida ragazza alla moda, che si rivelerà però essere Kuranosuke, secondogenito illegittimo di un politico locale.
In Giappone Kuragehime è stato trasposto anche in un film live-action nel 2014 e in una fiction televisiva nel 2018. Se vi ho incuriosito, l’anime vi aspetta su Crunchyroll.

SECONDI > SUKIYAKI



Funghi shiitake > 4
Tofu > 200 g
Cavolo di Pechino > 12 foglie
Spinaci freschi > 300 g
Cipollotti > 4
Noodles > 250 g
Carpaccio di manzo > 300 g
Brodo dashi (brodo di pesce) > 1 l
Salsa di soia > ¼ di tazza
Mirin > ¼ di tazza
Sake > 2 cucchiai
Zucchero > 1 cucchiaio
Riso bianco cotto > 400 g (facoltativo)
Uova > 4 (facoltativo)

Versate in una pentola la salsa di soia, il mirin, il sake e lo zucchero.
Lasciate sobbollire finché tutto lo zucchero non sarà sciolto, quindi trasferite la salsa sukiyaki in una ciotola.
Mettete i funghi shiitake secchi a rinvenire in 400 ml di acqua calda per 40 minuti, quindi strizzali delicatamente e incidi una croce sul cappello.
Tagliate il tofu a fette, lavate le foglie del cavolo di Pechino, quelle degli spinaci, mondate e affettate i cipollotti (separando la parte bianca da quella verde).
Lessate i noodles per 6 minuti in acqua bollente leggermente salata, quindi scolateli e metteteli da parte.
In una padella antiaderente, soffriggete la parte bianca del cipollotto, quindi aggiungete e rosolate il carpaccio di manzo.
Versate la salsa sukiyaki e il brodo dashi e lasciate cuocere a fuoco dolce.
Aggiungete il tofu, i funghi shiitake, il cavolo di Pechino e gli spinaci dividendoli in sezioni.
Versate infine i noodles, coprite la pentola e proseguite la cottura per circa 5-7 minuti.
Togliete il coperchio, aggiungete il carpaccio rosolato e la parte verde del cipollotto, e portate direttamente in tavola accompagnando il sukiyaki con riso bianco cotto e tuorlo d'uovo freschissimo (in cui immergere i vari ingredienti prima di gustarli).



mercoledì 11 settembre 2024

Pancetta croccante con chutney di mango

Stasera a cena mi sono chiesto quanto sia giusto legittimare incondizionatamente un’attrazione.
Ultimamente M. si sente come ossessionato da sé stesso, si chiede cosa fare, cosa non fare, chi è, chi non è. Gestire una relazione con un uomo sposato è molto rischioso, non importa quanto sia forte la passione.
Il suo terapeuta la paragona a un ciclo di felicità e di dolore che si reitera fino a quando uno dei due non stacca la spina. Così M. ha deciso di imporsi delle regole, perché le relazioni come la sua si basano sul piacere e sull’emozione, rimanendo confinate a un lungo e logorante innamoramento che raramente si trasforma in vero amore.
Cerca di prendere le distanze, poi, ogni volta, succede qualcosa. Riceve un suo messaggio, rivede una sua fotografia, oppure se lo trova davanti a cena, come capita a sorpresa stasera.

SECONDI > PANCETTA CROCCANTE CON CHUTNEY DI MANGO


Pancetta fresca > 1 kg
Rosmarino > 1 rametto
Salvia > 5 foglie
Aglio > 1 spicchio
Pepe in grani > qb
Sale grosso > qb
Zucchero > qb

Per la chutney di mango:
Mango > 500 g
Zucchero > 50 g
Zucchero di canna > 150 g
Radice di zenzero > 2 cm
Limone > 2 (non trattati)
Peperoncino > 1 pizzico
Olio extravergine d’oliva > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico

Incidete la cotenna della pancetta con tagli trasversali incrociati.
Passate al mixer la salvia, il rosmarino, lo spicchio d’aglio, il sale grosso, il pepe e lo zucchero.
Cospargete la pancetta col mix ottenuto, massaggiando bene la carne, e lasciatela in frigorifero per almeno 12 ore.
Fate rosolare la pancetta in una padella antiaderente, con la cotenna rivolta verso il basso.
Trasferite quindi la pancetta sulla griglia del forno, avendo cura di posizionare al livello sottostante una teglia con due dita d’acqua, per creare umidità nel forno e raccogliere i succhi che fuoriescono dalla carne.
Cuocete per 15 minuti a 200°C, poi continuate la cottura per 2 ore e ½ a 170°C e infine per 10 minuti a 250°C.
Se avete un termometro, per una cottura perfetta la temperatura della carne deve raggiungere i 70°C.
Versate intanto in una padella antiaderente il mango sbucciato e tagliato a dadini, quindi aggiungete lo zucchero, il sale, lo zenzero grattugiato, il peperoncino e le zeste dei limoni.
Irrorate col succo di un limone e fate cuocere coperto a fuoco lento per un’ora, mescolando spesso per evitare che si attacchi.
Sfornate la pancetta e lasciatela riposare per 5 minuti prima di servirla, tagliandola a cubi e accompagnandola con un cucchiaio di chutney di mango a temperatura ambiente.

martedì 23 maggio 2023

Parmigiana di melanzane alla pizzaiola

L’altra sera a cena abbiamo parlato di ordine e creatività. In un’epoca dominata dagli insegnamenti di Marie Kondo c’è ancora posto per il disordine? 

Una stanza disordinata induce a sopravvivere, per necessità, al di fuori dei confini dell’organizzazione, così diviene più facile pensare fuori dagli schemi. S. si è sempre aggrappata a questo: è vero che l’ordine produce scelte salutari, generose e convenzionali, ma è il disordine a generare la creatività.

Come conciliare tutto questo con la filosofia giapponese che promuove la forza del rigore? Forse, semplicemente, è una questione di equilibrio.

Il disordine può essere estremamente creativo, è vero, ma solo quando lo spazio diventa un contenitore fonte d’ispirazione. Al contrario, quando il caos ci travolge può essere lo specchio di un malessere a livello interiore che si ripercuote nella nostra quotidianità. Il rischio è quello di lasciarsi prendere la mano, fino a ritrovarsi nel disordine e nella disarmonia delle proprie relazioni sociali e affettive.

Il metodo delle 5S prevede un percorso costante, una svolta alle abitudini malsane. Un po’ come la dieta mediterranea (o quella dissociata, se fate palestra).

Si inizia classificando vestiti, oggetti e ricordi vari decidendo cosa tenere e cosa dare via (fase seiri), poi si passa al riordino vero e proprio (fase seiton) scegliendo un posto (il migliore possibile) per ogni cosa. Solo a questo punto si possono fare le pulizie (fase seiso), che devono essere puntuali, costanti e periodiche, tanto da arrivare al mantenimento dell'ordine e della pulizia (fase seiketsu). L’ultimo stadio rappresenta la disciplina (fase seitsuke), vero motore di ogni filosofia giapponese.

Per le ultime tre fasi potete farvi aiutare, ma le prime devono partire da voi. E S. finalmente sembra averlo capito.


SECONDI > PARMIGIANA DI MELANZANE ALLA PIZZAIOLA



Melanzane > 3

Passata di pomodoro > 700 ml

Farina > qb

Mozzarella di bufala > 300 g

Parmigiano Reggiano > 100 g

Cipolla > 1

Olive verdi > 50 g

Capperi sotto sale > 1 manciata

Basilico > 1 mazzetto

Olio EVO > 4 cucchiai

Olio di semi di arachidi > 1 l

Sale > 1 pizzico

Pepe > 1 pizzico


Lavate le melanzane, asciugatele e tagliatele a fettine sottili (2 o 3 mm).

Una volta che le avrete spolverate di sale, adagiatele su un piano e lasciatele riposare per un’ora, fino a quando non avranno perso l’acqua di vegetazione. 

Scaldate intanto l’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente e fate imbiondire a fuoco lento la cipolla affettata sottile. 

Unite la passata di pomodori e il mazzetto di basilico, le olive verdi a rondelle, i capperi (dopo averli dissalati in acqua e strizzati), salate, pepate e fate cuocere coprendo con un coperchio, fino a quando il sugo non si sarà rappreso.

Sciacquate le fettine di melanzana, asciugatele bene e passatele nella farina, quindi friggetele in abbondante olio di semi e poi lasciatele asciugare su carta paglia.

Foderate una teglia con la carta forno, stendete un velo di sugo e coprite con uno strato di melanzane fritte. 

Proseguite con un secondo velo di sugo e con la mozzarella tagliata a dadini, quindi spolverate di Parmigiano Reggiano grattugiato e coprite con un secondo strato di melanzane fritte. 

Continuate fino a esaurimento degli ingredienti, terminando con uno strato di sugo e con una bella grattugiata di Parmigiano Reggiano.

Infornate per 40 minuti a 200 °C, lasciando gratinare bene la superficie. 

Servite la parmigiana tiepida guarnendo con qualche foglia di basilico fresco.

giovedì 4 maggio 2023

Filetto di salmone alla soia con salsa di cipolle ai fichi

Ieri sera a cena abbiamo parlato di ex amici. Non è stato facile per S. tornare a fidarsi dell’amicizia. Liberarsi dei fantasmi del passato e affidarsi ancora una volta a qualcuno richiede tenacia e lei ha speso troppe energie per accettare il tradimento della persona a cui aveva dato la sua fiducia incondizionata. Non riusciva a trovare giustificazioni per quel tradimento perché l’amicizia non è di per sé accomodante, è più dogmatica dell’amore, non accetta sfumature di comodo ma solo colori primari. Se viene tradita è per sempre. Quell’abbandono era arrivato all’improvviso, in un modo del tutto inaspettato e l’aveva lasciata attonita, annichilita, incapace di reagire. Poi aveva provato odio e risentimento, sentimenti che dovevano essere elaborati e lasciati andare via. E finalmente un giorno ha capito che reprimere la rabbia, la tristezza e il dolore non era la strada giusta per andare avanti, così ha smesso di combatterli e di sopprimerli, riuscendo a sconfiggere il ricordo. Ce l’ha fatta perché ha smesso di ignorare una semplice verità: lei era innamorata di quel suo amico speciale, ma di un amore che non poteva essere ricambiato e che oggi, per sua fortuna, non esiste più.

 

SECONDI > FILETO DI SALMONE ALLA SOIA CON SALSA DI CIPOLLE AI FICHI

 


Salmone > 400 g

Cipolle > 300 g

Marmellata di fichi > 2 cucchiai

Brodo vegetale > 1 l

Olio EVO > 4 cucchiai

Aceto di vino bianco > 4 cucchiai

Zucchero > 60 g

Sale > 2 pizzichi

Pepe > 2 pizzichi


Per la marinatura:

Vino aromatico > 1/2 bicchiere

Salsa di soia > 4 cucchiai

Zucchero > 1 cucchaio

Zenzero fresco > 2 cm

Aglio > 1 spicchio


Sbucciate le cipolle, affettatele finemente, mettetele in una ciotola capiente e tenetele a bagno per 30 minuti nell’acqua fredda.

Preparate intanto la marinatura per il salmone: in una ciotola sciogliete lo zucchero nel vino bianco aromatico, aggiungete la salsa di soia, 1 spicchio d’aglio pestato e lo zenzero grattugiato.

Togliete la pelle dai filetti di salmone partendo dal lato della coda e mantenendo la lama quanto più possibile aderente alla pelle, per avere il minor scarto possibile. Eliminate con una pinzetta le eventuali spine rimaste e lavate i filetti per rimuovere le squame. Asciugateli con la carta da cucina.

Immergete i filetti di salmone nella marinatura e lasciateli riposare per 30 minuti a temperatura ambiente.

Scolate le cipolle e fatele cuocere in una padella antiaderente bagnandole col brodo vegetale, un mestolo alla volta.

Dopo 30 minuti aggiungete lo zucchero, 1 pizzico di sale, 1 di pepe e l’aceto di vino bianco, proseguite la cottura per altri 20 minuti e poi unite la marmellata di fichi. Cuocete la salsa mescolando spesso, fino a quando le cipolle non si saranno completamente disfatte.

Strofinate ora il fondo di una padella antiaderente con 1 spicchio d’aglio tagliato a metà. Aggiungete l’olio e rosolate i filetti di salmone (dopo averli asciugati bene con la carta da cucina) 2 minuti circa per lato, facendo attenzione che l’interno rimanga rosa.

Fate restringere la marinatura a fuoco lento.

Servite il salmone su un velo di salsa di marinatura e accompagnatelo con un cucchiaio di salsa di cipolle ai fichi.

 

domenica 26 marzo 2023

Spiedini di maiale al Lapsang Souchong

L’altra sera a cena abbiamo parlato di yoga e di rinascita. T. ha curve dolci, nessuna tensione muscolare. In America, quei corpi che a un certo punto si lasciano andare, in un mix di lassismo ed età che avanza, li chiamano dad body. Ma lui è sempre stato così, anche quando aveva vent’anni e cercava di contenere quel fisico morbido per non essere rifiutato o deriso. 
Nella speranza che il sovrappeso fosse dovuto a un’intolleranza alimentare aveva nel tempo eliminato latte, pane bianco, salumi, surgelati, frutta e verdura in scatola, cereali, dadi da cucina, piatti pronti e gelati. Aveva provato a depurarsi con le tisane di tarassaco. Era andato in terapia temendo che il grasso nascondesse una forma d’insicurezza sessuale. Ed era stato da un’estetista per combattere con rituali distensivi e impacchi tonificanti una possibile ritenzione idrica dovuta a un’alimentazione ricca di sodio. Ma tutto questo aveva solo contribuito a renderlo più schivo e introverso.
Da ragazzo era convinto che i bisogni fossero tanto importanti quanto i desideri futili. È come se i primi nascessero da un’esigenza precisa, un disequilibrio che andava soddisfatto, mentre i secondi, più astratti, rappresentassero un’esigenza del superfluo. Per lui il bisogno era l’acqua, mentre l’orzata rappresentava il desiderio. Poi ha capito che il bisogno parte dal corpo, nasce da una spinta interna, ma finisce col trasformarsi in una dipendenza e si esaurisce nel soddisfacimento di un’esigenza, più o meno importante, in attesa di altri bisogni e nuove soddisfazioni. Il desiderio è al contrario una mappa: non porta a una soddisfazione immediata, ma ci indica verso quale direzione andare. Nella vita, come in una relazione. E il suo desiderio è sempre stato l’amore. Qualcuno che s’innamori di lui, delle sue stranezze e delle sue manie, del suo corpo non perfetto e non bello, del suo sorriso e della sua tristezza. Quel qualcuno, però, non è mai arrivato e, in cerca di una relazione, ha provato ad accontentarsi di amori liquidi, quelli che temono il cambiamento e si aggrappano a un immutabile presente. Una bolla perfetta quanto fragile, in cui è sopravvissuto senza azzardarsi, ma che un giorno è esplosa lasciandolo solo e guardingo, stanco di amare tanto, troppo, spesso a senso unico.
In quel momento, T. ha trovato un nuovo equilibrio grazie allo yoga. In questa filosofia di vita, il perno per gestire l’ansia e lo stress è basato sull’essenza stessa della disciplina, ovvero sulla parola “accettazione” che, una volta interiorizzata e fatta propria, si è rivelata per lui uno strumento terapeutico. Finalmente il suo corpo non era più fatto solo di carne, ma anche di un’energia vitale chiamata prana, in perfetta relazione con la mente e il pensiero. E così, a poco a poco, T. si è sentito pronto a ricominciare.
 
SECONDI > SPIEDINI DI MAIALE AL LAPSANG SOUCHONG
 

Pancetta di maiale> 400 g
Coppa di maiale fresca> 400 g
Vino rosso> 1 bicchiere
Zucchero> 2 cucchiai
Salsa di soia> ½ bicchiere
Limone> ½
Tè Lapsang Souchong> 1 cucchiaino
Peperone giallo> 1
Zenzero fresco> 2 cm
Alloro> 4 foglie
 
Preparate la marinatura mescolando lo zucchero col vino rosso, la salsa di soia, lo zenzero grattugiato, il succo di limone e il Lapsang Souchong (tè nero affumicato) polverizzato.
Tagliate la pancetta e la coppa di maiale in bocconcini uniformi.
Lasciate la carne nella marinatura per 30 minuti a temperatura ambiente.
Lavate il peperone e tagliatelo a falde, eliminando i semi e i filamenti bianchi. Tagliatelo quindi a pezzetti della stessa dimensione della carne.
Componete gli spiedini alternando un bocconcino di pancetta, un pezzo di peperone, uno di coppa, una foglia di alloro e così via. Se gli spiedini sono di legno, prima di usarli lasciateli per 30 minuti in ammollo nell’acqua.
Cuocete gli spiedini in forno caldo a 180° per 40 minuti, bagnandoli di tanto in tanto con la marinatura rimasta e rigirandoli a metà cottura.
Filtrate il liquido di marinatura rimasto e fatelo restringere a fuoco dolce in un pentolino antiaderente, finché il vino non sarà caramellato.
Servite gli spiedini su un velo di salsa al vino rosso.

martedì 31 gennaio 2023

Gamberi teriyaki con insalata sunomono di cetriolo e alghe wakame

Ho scritto alcune pagine del mio nuovo romanzo, una commedia sulla differenza di età in amore che avevo immaginato inizialmente per un graphic novel. A volte succede. Certe storie necessitano di più spazio, più parole.

Comunque sia, mi sono trovato a riflettere sulla scrittura. Questo romanzo, così come il primo, Torneranno gli sguardi, è pensato al presente.

Ci sono pochi romanzi scritti al presente, probabilmente lo avrete notato. È che di norma le opere di narrativa si scrivono al passato remoto e non tutti i lettori ammettono concessioni verbali. Per molto critici, poi, l'uso del presente è una moda, un danno collaterale provocato dalle scuole di scrittura. Una nota agente letteraria londinese addirittura non accetta romanzi scritti al presente.

Insomma, per i più le storie che si raccontano devono essere già accadute e quindi considerarsi concluse. Ma i miei personaggi sono vivi e nel vivo della loro vita. Non si nutrono di ricordi, le loro storie sono in divenire. E il verbo al presente trasmette un senso di immediatezza, trascina subito i lettori nel vivo della storia.

Probabilmente la mia è una deformazione professionale: nascendo come sceneggiatore di fumetti, per me il presente è il tempo del “qui e ora”, dell’azione, della crescita (anche interiore). Per questo lo scelgo. E sono in buona compagnia, oserei dire. Henri Charrière, Tom McCarty, Damon Galgut, Emma Donoghue, giusto per citare qualche autore a me affine.

Perché dovrei adeguarmi allo standard? Il tempo verbale in un romanzo può essere una discriminante sul giudizio finale? 

 

SECONDI > GAMBERI TERIYAKI CON INSALATA SUNOMONO DI CETRIOLO E ALGHE WAKAME

 


Gamberi: 400 g

Salsa di soia: 100 ml

Mirin: 100 ml

Sake: 100 ml

Zucchero: 20 g

Cetriolo: 1

Alga wakame: 10 g

Sale: 1 cucchiaino

Sesamo: qb

 

Per la salsa sunomono:

Aceto di riso: 4 cucchiai

Salsa di soia: 2 cucchiai

Zucchero: 1 cucchiaio

 

Fate rinvenire in acqua le alghe wakame. Lavate i cetrioli e tagliateli a fettine molto sottili. 

Immergete le fettine di cetriolo in una ciotola d’acqua con un cucchiaino di sale e lasciateli riposare per circa 5 minuti, poi scolateli.

Preparate la salsa sunomono mescolando l’aceto di riso, la soia e lo zucchero. 

In una ciotola capiente unite le alghe wakame, i cetrioli e irrorate il tutto con la salsa sunomono. 

In un pentolino fate cuocere a fuoco lento la salsa di soia, il mirin, il sake e lo zucchero finché il tutto non si sarà ristretto di circa un terzo del suo volume.

Cospargete i gamberi con la salsa ottenuta e cuoceteli in pentola o su una griglia, girandoli spesso e spennellandoli ogni volta con la salsa.

Servite i gamberi teriyaki con l’insalata di alghe e cetrioli e una spolverata di semi di sesamo. 

domenica 13 novembre 2022

Okonomiyaki

Una delle ricette più semplici ma appetitose del mio libro In cucina con gli anime giapponesi (pubblicato da Kappalab) è quella degli okonomiyaki.

Il nome di questo piatto non vi sarà forse familiare, ma se avete qualche anno sulle spalle potreste averlo visto preparare dal cuoco Marrabbio (in realtà Shigemaro) in un vecchio anime intitolato Kiss me Licia, che in Italia ebbe un successo inimmaginabile, toccando i quattro milioni di telespettatori a puntata. Certo, i traduttori italiani ne avevano di fantasia: una volta doppiata la serie, gli okonomiyaki sono diventati… polpette!

Semplici da preparare (proprio come una frittata o ancor più una “tortilla di verza”), nella regione del Kansai, in Giappone, sono noti anche come “pizza di Osaka”, perché si possono condire con tutto ciò che si vuole.

Ieri ho tenuto uno show cooking alla Biblioteca Crocetta di Modena, per 40 ragazzi dagli 8 ai 14 anni. Ho deciso di proporre anche la mia versione dell’okonomiyaki (nati in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il riso scarseggiava e la popolazione era costretta a inventarsi nuove pietanze a base di farina e verdure di facile reperibilità) perché sono un ottimo piatto completo: le uova hanno un alto potere saziante, sono una riserva bilanciata di aminoacidi essenziali e una fonte di proteine completa ed economica, inoltre contengono ferro, fosforo e calcio, la vitamina K2 (utile per rafforzare le ossa) e la vitamina B12 (importante nel metabolismo di carboidrati, grassi e proteine).

Naturalmente il mio giovane pubblico non conosceva Kiss me Licia e non avrebbe mai pensato di amare tanto il cavolo cappuccio, l’alga nori o il katsuobushi (il cui nome è bastato a farli ridere), ma tutti i partecipanti erano preparatissimi, sempre pronti con le mani alzate a rispondere alle mie domande.

Sono ragazzi fortunati. Dovete sapere che chi è coinvolto sin da giovane nella preparazione dei pasti ha maggiori probabilità di mangiare in maniera equilibrata e consumerà tendenzialmente più verdure. La cucina è un luogo in cui coltivare l'autostima, la fiducia e la sicurezza dei propri figli, ma soprattutto trascorrere con loro del tempo ai fornelli può essere l’occasione per parlare di tradizioni familiari o mettersi al passo con la vita quotidiana, costruendo relazioni più forti.

Sono felice che il mio libro di cucina stia già creando un ponte tra genitori e figli, e le email che sto ricevendo mi stanno riempiendo il cuore.

Non vedo l’ora di vedere i primi selfie “con gli anime giapponesi” dalle vostre cucine casalinghe di tutta Italia.


SECONDI > OKONOMIYAKI

 


Farina: 300 g

Acqua: 200 ml

Dado granulare di pesce: 1 cucchiaino

Zucchero: 1 cucchiaio

Lievito istantaneo per preparazioni salate: ½ cucchiaino

Uova: 4

Verza (o cavolo cappuccio): 600 g

Cipollotti: 2

Zenzero fresco: 2 cm

Maionese: qb

Salsa per okonomiyaki: qb

Katsuobushi: qb 

Alga nori: qb

Olio EVO: 4 cucchiai

Sale: 1 pizzico

Pepe: 1 pizzico


Lavate e tagliate a listarelle la verza (o il cavolo cappuccio), eliminando le parti più coriacee, e i cipollotti, quindi lasciateli riposare in frigorifero.

Sciogliete il brodo granulare di pesce nell’acqua bollente. Mescolate la farina col brodo fino a ottenere un composto soffice e vellutato, aggiungendo il lievito e lo zucchero.

Sbattete le uova con una frusta e unitele al composto di farina (perché sia ancora più soffice, potete montare a neve gli albumi e unirli poi ai tuorli precedentemente sbattuti col composto di farina).

Amalgamate la verza e i cipollotti tagliati, lo zenzero grattugiato e la pastella d’uovo e farina, salando e pepando a vostro piacimento.

Su una piastra antiaderente da crêpe ben calda, unta con un filo d’olio, versate un po’ del composto formando un cerchio del diametro di circa 18 cm e alto 2 cm. Lasciate cuocere a fuoco medio per circa 3 minuti, quindi giratelo aiutandovi con una spatola. Trascorsi altri 3 minuti rigiratelo ancora e continuate un altro paio di volte, fino a che entrambe le superfici non saranno dorate.

Disponete gli okonomiyaki sui piatti da portata e guarniteli a piacere con maionese e salsa per okonomiyaki, quindi spolverateli con katsuobushi e alghe nori.

Per un okonomiyaki ancora più ricco potete guarnirlo con alcune fettine di pancetta dolce croccante alla griglia o con un uovo fritto (col tuorlo ancora morbido).