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martedì 26 novembre 2024

La ruota del faraone

Non esiste alcun sistema di convinzioni che sia intrinseco alla cultura ebraica. Ogni generazione è chiamata a individuare i propri specifici fattori d'integrità. Allo stesso modo, non esiste un’unica tipologia di cucina kosher. Anche se le tradizioni gastronomiche giudaiche seguono comunque le regole indicate nella Torah, gli ebrei hanno infatti adottato le usanze dei posti in cui sono vissuti. Ne è nato un melting pot gastronomico che, per quanto riguarda il nostro paese, offre una miscela unica di sapori influenzata sia dagli ingredienti locali italiani sia dalle leggi ebraiche.
Ci sono quindi molte contaminazioni anche tra la cucina ferrarese e quella degli ebrei accolti a Ferrara dal duca Ercole I d’Este, dopo che nel 1492 furono cacciati dalla Spagna cattolica.
Secondo la leggenda, le tagliatelle furono inventate nel 1487 dal Mastro Zafirano, in occasione del matrimonio di Lucrezia Borgia col duca Alfonso d'Este. Si dice che il cuoco s'ispirò ai bellissimi capelli biondi della sposa per cerare questa nuova pasta fresca.
E proprio le tagliatelle più sottili sono alla base di un piatto chiamato hamin, noto anche come la Ruota del Faraone, in ricordo degli Egiziani annegati nel Mar Rosso. Si usa prepararlo per Shabbat Beshalach (una delle connessioni di Shabbat più significative dell’interno anno) e, secondo la tradizione, si cucina in una pirofila (o una padella, se si preferisce una cottura al tegame) rotonda come le ruote dei carri dei soldati egiziani che hanno inseguito gli Ebrei in fuga nel deserto. Le tagliatelline rappresentano le onde del Mar Rosso, i pinoli raffigurano i cavalli bianchi degli egiziani, mentre l’uvetta vuole ricordare le teste degli egiziani che affogarono quando il Mar rosso si richiuse su di loro.
In questa mia rivisitazione, al posto dell’oca kasher ho utilizzato la carne di manzo e il sugo dell’arrosto (che ho servito come secondo a cena), ma potete optare anche per la carne di pollo.

PRIMI > LA RUOTA DEL FARAONE
Tagliatelline all’uovo > 350 g
Macinato di manzo > 150 g
Salsiccia di scottona > 100 g
Pinoli > 80 g
Uvetta > 80 g
Fondo di cottura dell’arrosto > qb
Rosmarino > 1 rametto
Aglio > 1 spicchio
Salvia > 6 foglie
Olio EVO > 8 cucchiai
Pepe > 1/2 cucchiaino
Sale > 1/2 cucchiaino

Versate il macinato e la salsiccia privata del budello in una ciotola capiente.
Aggiungete il sale e il pepe, la salvia tritata, quindi impastate a lungo con le mani per rendere il composto tenero.
Ricavate delle polpettine grandi come una nocciola.
Scaldate 4 cucchiai d’olio EVO in una padella antiaderente, fate soffriggere l’aglio e il rosmarino, quindi fate rosolare le polpettine su tutti i lati.
Cuocete le tagliatelle sottili al dente in abbondante acqua salata, scolatele e fatele raffreddare con un getto veloce di acqua fredda. Scolatele nuovamente e tamponatele con la carta da cucina.
Condite le tagliatelline col fondo di cottura dell’arrosto (o ancor meglio col grasso d’oca sciolto) e aggiungete le polpettine, i pinoli tostati e l’uvetta.
Mescolate e trasferite il tutto in una pirofila bene oliata.
Cuocete in forno caldo a 200°C per 5 minuti, fino a quando non si sarà formata una bella crosticina croccante sulla superficie.

venerdì 12 gennaio 2024

Risotto agrodolce con peperoni e Asiago stagionato

Ieri sera a cena abbiamo parlato di una virtù del quotidiano: la pazienza. Si dice che sia una qualità superiore, che tragga linfa vitale dalla saggezza e ci permetta di non perdere la perseveranza del nostro agire. Che grazie a essa si possano ottenere risultati sorprendenti, anche in amore: d’altronde, a vincere è sempre chi si arma di pazienza e sa aspettare.
Nel prendere posizione, M. si mette immediatamente sulla difensiva e finisce con l’indossare il suo imbarazzo direttamente sul volto. Il rossore è un compagno costante nella sua vita e arriva nelle situazioni sociali meno opportune. Il timore di perdere il controllo delle emozioni alimenta il suo disagio, sa che potrebbe fare o dire qualcosa di inappropriato, così cerca di rimanere concentrato sullo scambio di battute, ma non ci riesce: prima si limita ad annuire e poi si svela.
La pazienza in amore è una virtù dei giovani, esclama d’un fiato, di chi non ha già aspettato troppo e inutilmente. A una certa età ci si deve forzare a pazientare, a lasciare che il tempo faccia la propria parte, decidendo cosa è giusto, creando occasioni, centellinando speranze. Arriva un punto nella vita in cui non è più sopportabile perdere tempo con ciò che potrebbe potenzialmente ferirci. E così M. ha smesso di sorridere a chi non gli sorride, di amare chi non lo ama, è stanco di confronti e di conflitti. Soprattutto, ha capito che non serve sprecare pazienza con chi non la merita.
Mi sono chiesto se abbia capito davvero cosa sia la pazienza. Spesso il rischio è quello di confonderla con la rassegnazione o con la pigrizia. Mi piacerebbe fargli capire che pazienza non è sopportazione né un abbandono passivo al flusso degli eventi e non è neppure la capacità di saper aspettare, quanto piuttosto ciò che facciamo mentre aspettiamo.
L’ho imparato in cucina: per riuscire in un piatto, bisogna pazientare. Il bravo cuoco sa aspettare.   

PRIMI > RISOTTO AGRODOLCE CON PEPERONI E ASIAGO STAGIONATO

Riso Arborio > 5 pugni 
Brodo vegetale > 1 litro (già salato) 
Aglio > 1 spicchio
Prezzemolo > 1 rametto 
Asiago DOP Stagionato > 200 g 
Vino bianco > ½ bicchiere 
Burro > 1 noce  

Per la marmellata di peperoni: 
Peperoni rossi > 1 kg  
Zucchero > 300 g  
Aceto di mele > 150 ml 
Sale > 1 pizzico   

Iniziate col preparare la marmellata di peperoni, che potrete poi conservare anche per accompagnare formaggi stagionati.
Lavate i peperoni, privateli dei semi e degli eventuali filamenti, quindi tagliateli a pezzetti e versateli in una pentola antiaderente, aggiungendo lo zucchero, l'aceto e il sale.
Cuocete a fuoco medio, mescolando finché non si scioglie lo zucchero.
Una volta raggiunto il bollore, abbassate la fiamma e continuate a cuocere per altri 30 minuti, sempre mescolando.
Frullate il composto servendovi di un mixer a immersione e passatelo in un passino a maglie strette per eliminare residui di buccia dei peperoni.
Terminate la cottura. Versate un cucchiaino di marmellata su un piattino inclinato: se scende lentamente è pronta, altrimenti proseguite la cottura ancora qualche minuto.
Lasciate intiepidire la marmellata per 10 minuti, girandola di tanto in tanto, poi versatela nei vasetti sterilizzati fino a 1 cm dal bordo.
Tappate e tenete i vasetti capovolti fino a completo raffreddamento.

Procediamo ora col nostro risotto.
Versate 1 noce di burro in una padella antiaderente, portatela a temperatura e fate soffriggere l'aglio e il prezzemolo finemente tritato.
Eliminate l'aglio, versate il riso e fatelo tostare. Quando i chicchi avranno un aspetto traslucido versate il vino e lasciatelo evaporare.
Versate ora il brodo bollente, facendolo assorbire pian piano, un mestolo alla volta
Dopo circa 10 minuti aggiungete due cucchiai di marmellata di peperoni e proseguite la cottura col brodo rimasto finché il riso non sarà perfettamente al dente.
Spegnete il fuoco e mantecate con l’Asiago Stagionato tagliato a dadini, amalgamandolo delicatamente sino ad ottenere un risotto morbido e ben asciutto.
Lasciatelo riposare per un paio di minuti prima di servirlo.    

lunedì 18 luglio 2022

Risotto allo sgombro con fagioli corona

Ieri sera a cena ci siamo confrontati sulla definizione vera di tradimento. L’adulterio esprime le debolezze, il voler essere liberi e l’incapacità di esserlo, le gelosie. Ma quando possiamo parlare di vero e proprio tradimento in un matrimonio? C’è chi pensa che s’insinui nel momento in cui si mente all’altro, mentre per alcuni presuppone un rapporto fisico con una terza persona. Come definire allora un bacio o una relazione non consumata che però lusinga e si trasforma in un pensiero fisso? Se il piacere non obbliga ad assumersi responsabilità, può considerarsi comunque un tradimento?
Tra lacrime, confusione, rabbia e un senso di umiliazione, P. teme di non essere in grado di voltare pagina e cancellare il dolore e la sofferenza. Come accettare che l’infedeltà abbia la meglio e che il tradimento sia ormai una costante evasione da quello che dovrebbe essere il matrimonio? Viveva nell’accettazione incondizionata dell’altro, del vivere con l’altro, ma a ben pensarci oggi non è l’amore, ma l’adulterio a essere esaltato, celebrato, inscenato, enfatizzato in infinite varianti, in televisione e nella narrativa. È diventato normalità.
Ci aveva messo in guardia Denis De Rougemont, scrittore e pensatore francofono, analizzando il mito di Tristano e Isotta, che per primo diede autorevolezza all’adulterio entrando potentemente nell’immaginario collettivo. Tanto è più patologico il tradimento e tanto più attrae, perché oggi è la trasgressione a fornire i contorni dell’ethos amoroso, del tutto privo di regole o galateo. È il tradimento a monopolizzare il pensiero e il desiderio.
Forse basterebbe capire che il matrimonio è il viaggio di scoperta più importante che l'uomo possa compiere, ma è anche un passaggio ufficiale a una vita nuova e ignota. Il matrimonio non è, insomma, un punto di arrivo, la fine di un percorso iniziato con l’incontro e l’innamoramento, ma l’inizio di un processo di crescita da portare avanti con la persona che si ama giorno dopo giorno, difficoltà dopo difficoltà, gradino dopo gradino, senza lasciarsi consumare dal rancore e dall’apatia, nascondendo l’incapacità di parlarsi e di ascoltarsi dietro l’alibi del tradimento.
 
PRIMI > RISOTTO ALLO SGOMBRO CON FAGIOLI CORONA
 

Riso Arborio > 5 pugni
Filetti di sgombro > 300 g
Fagioli bianchi corona > 100 g
Katsuobushi (bonito) > 40 g + 1 manciata
Alga kombu > 15 g
Aglio > 1 spicchio
Vino bianco > ½ bicchiere
Olio EVO > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico
 
Mettete i fagioli bianchi corona in ammollo in acqua fredda per 12 ore. Sciacquateli e versateli in una pentola, coprendoli a filo con acqua fredda. Cuoceteli per 1 ora e 45 minuti scuotendo ogni tanto la pentola senza mai mescolare e salando solo a cottura ultimata. Scolateli e teneteli da parte.
Preparate il brodo dashi portando a bollore 1 litro d’acqua con l’alga kombu. Spegnete la fiamma e aggiungete il katsuobushi. Lasciate riposare per 1 minuto, finché le scaglie non si depositano sul fondo, e poi filtrate il brodo ottenuto (in alternativa potete utilizzare del dashi istantaneo granulare da sciogliere nell’acqua calda oppure 2 comuni dadi per brodo di pesce). Tenetelo da parte.
Scaldate l’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente e fate dorare lo spicchio d’aglio sbucciato e schiacciato.
Togliete l’aglio e unite il riso. Quando i chicchi avranno un aspetto traslucido versate il vino e lasciatelo evaporare, quindi aggiungete il brodo dashi, facendolo assorbire pian piano, un mestolo alla volta.
Trascorsi 10 minuti unite lo sgombro e proseguite la cottura finché il riso non sarà pronto.
Impiattate il risotto guarnendolo con alcuni fagioli corona e (facoltativo) una spolverata di katsuobushi.

giovedì 14 luglio 2022

Yaki udon con asparagi

Ieri sera a cena abbiamo parlato di rinascite. Ritagliarsi una pausa dagli obblighi quotidiani può rivelarsi un’idea estremamente rigenerante, sotto tutti i punti di vista. Aiuta a vedersi in prospettiva. A volte esaminare la propria situazione con un piccolo distacco, senza farsi prendere dall’impeto, è utile a chiarire tutte quelle incomprensioni e quelle parole non dette, che spesso fanno breccia nelle relazioni affettive e amorose.
Così abbiamo visto un’amica finalmente raggiante, rapita dall’irresistibile e sensuale gioco della seduzione. 
Tra la fine di una relazione e un nuovo innamoramento ci sono le vulnerabilità a cui tutti siamo esposti mentre siamo innamorati: l’ansia di una chiamata al telefono, l’euforia e la disperazione che lottano per il comando delle emozioni, le fantasie ottimistiche o catastrofiche. Poi, dopo un percorso di espiazione, si reimpara ad amare, si torna felici e finalmente sereni. 
Un nuovo lavoro, una nuova casa, una relazione appena iniziata. Possiamo ricominciare innumerevoli volte nella nostra vita. Ed è bello farlo con la consapevolezza che rinasciamo in ciò che già esiste. Perché, in parte, siamo il prodotto del nostro passato, delle nostre esperienze e di come abbiamo reagito agli avvenimenti. I sentimenti negativi crescono fino a raggiungere il punto di rottura e poi svaniscono, lasciando spazio alla reazione positiva. E, a volte, può accadere di trovare il proprio posto nel mondo lì dove non lo avremmo mai immaginato.
 
PRIMI > YAKI UDON CON ASPARAGI


Udon precotti > 400 g

Asparagi verdi > 400 ml
Uova > 2
Pancetta dolce > 100 g
Scalogno > 2
Zenzero fresco > 2 cm
Alga nori > 1/2 foglio
Olio EVO > 4 cucchiai
Salsa di soia > 4 cucchiai
Semi di sesamo tostati > 1 cucchiaio
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Lavate bene gli asparagi ed eliminate la parte più dura del gambo. Cuoceteli al vapore (oppure in poca acqua) per circa 10 minuti, lasciandoli croccanti. Scolateli, poi tagliateli a rondelle, tenendo da parte le punte.

Affettate lo scalogno e rosolatelo in una padella antiaderente bene oliata.
Tagliate la pancetta a dadini e fatela rosolare assieme allo scalogno.
In una scodella sbattete nel frattempo le uova con un pizzico di sale e pepe, poi versatele nella padella e strapazzatele.
Aggiungete gli asparagi a rondelle e lo zenzero fresco grattugiato.
Saltate tutto a fiamma vivace per qualche minuto, quindi aggiungete gli udon e la salsa di soia.
Lasciate insaporire e impiattate guarnendo con le punte d’asparago, l’alga nori sbriciolata e i semi di sesamo tostati. 


giovedì 7 luglio 2022

Gnocchi di zucca in crema

Le Love Cards di Yves Saint Laurent sono passate alla storia. Per 25 anni (a eccezione del 1978 e del 1993, da lui definiti “senza amore“) il celebre stilista ha realizzato questi preziosi biglietti utilizzando tecniche diverse, dagli acquarelli alle grafiche, fino ai collage.
 

Era solito mandarle ad amici e parenti per festeggiare l'inizio del nuovo anno. La prima cartolina è del 1970, l'anno in cui sono nato: qui il tipico motivo a serpente YSL avvolge la scritta LOVE e il riferimento è l'amore dello stilista per Marrakech, visitata per la prima volta con il suo compagno di vita Pierre Berge nel 1966.
La trovo bellissima, voi no? E poi si abbina perfettamente al payoff del mio blog: «Amare significa condividere tutto. Anche una ricetta».

PRIMI > GNOCCHI DI ZUCCA IN CREMA


Zucca > 1 kg (già pulita)
Farina > 120 g
Uova > 2
Pancetta dolce > 150 g
Scalogno > 1
Erba cipollina > 20 steli
Brodo vegetale > 500 ml
Olio EVO > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Sbucciate la zucca, privatela dei semi interni e tagliatela a pezzetti. Sceglietene una poco acquosa, come quella a buccia verde.
Passate 500 g di zucca in forno a 180° per circa 20-40 minuti (a seconda della zucca utilizzata), quindi fatela intiepidire. 
Riducetela in purea e ripassatela in forno a 110°, perché si asciughi bene, poi frullatela con l’aiuto di un mixer a immersione per eliminare grumi e filamenti.
Lasciate raffreddare e versatela in una ciotola con le uova leggermente sbattute, 80 g farina, il sale e il pepe.
Impastate bene con le mani fino a quando il composto non sarà più appiccicoso
Infarinate il piano di lavoro.
Servendovi di due cucchiaini realizzate delle piccole quenelle di zucca, tuffatele nella farina rimasta e medellatele tra i palmi delle vostre mani, dando agli gnocchi una forma arrotondata.
Lasciateli riposare per 1 ora a temperatura ambiente.
Tritate intanto lo scalogno e fatelo soffriggere in una pentola oliata. Aggiungete la pancetta a cubetti e fatela rosolare. Unite anche i rimanenti 500 g di zucca, e fateli saltare per qualche minuto a fuoco vivace.
Versate il brodo caldo e proseguite la cottura fino a quando la zucca non si sarà ammorbidita.
Frullate il tutto, con l’aiuto di un mixer a immersione. Nel caso il composto non sia abbastanza morbido e vellutato, aggiungete un altro po’ di brodo vegetale.
Cuocete gli gnocchi in abbondante acqua salata e scolateli non appena salgono a galla. Fateli saltare nella crema di zucca e impiattateli cospargendoli con un trito di erba cipollina.

lunedì 4 luglio 2022

Canederli alla puttanesca

Mi riconosco da sempre nella scrittura militante. Io sono un autore militante, ed essere un autore militante significa porre uno scopo al proprio scrivere.
Per me la scrittura ha un compito politico: perché nasce da un’esigenza reale, una paura che è figlia di una disuguaglianza sociale, spesso violenta, che si trasforma in lotta. Così metto la parola e il disegno (perché la maggior parte dei miei romanzi sono a fumetti) al servizio di una causa. Principalmente quella dei diritti civili. Nella speranza che la parola e il disegno alimentino il cambiamento. Del resto, come diceva Tondelli, “l’omosessualità è un problema per chi se ne fa un problema”, e io non me ne sono mai preoccupato, neppure all’uscita del mio primo graphic novel a metà degli anni Novanta, che è stato anche il primo vero graphic novel italiano a tematica LGBT.
Nelle mie storie ho sempre voluto sottolineare come i rapporti si costruiscano “con” le persone e non secondo principi di appartenenza a una sfera sessuale. A nessuno piace vivere limitando la propria esistenza ed è possibile stare tutti insieme senza chiedersi il perché, basta abbattere gli steccati che dividono il mondo LGBT da quello eterosessuale. È per questo che nel mio nuovo romanzo Torneranno gli sguardi (Kappalab) presento un ampio spettro di relazioni: amorose, genitoriali, affettive, professionali; di religione e di pregiudizio; omosessuali ed eterosessuali.
Oggi il fumetto, la narrativa, il cinema e la televisione stanno affrontando a viso scoperto le tematiche LGBT in maniera nuova, aprendo la mente, superando ogni stereotipo, toccandone i molti aspetti, anche negativi, con estrema serietà. Questo genera finalmente consuetudine e ciò che è conforme a un’abitudine o a una consuetudine finisce presto o tardi con l’essere “normale”. Non per niente il termine “uguaglianza” è spesso associato a quello di “normalità”, come valore, come identità di diritti.

PRIMI > CANEDERLI ALLA PUTTANESCA


Pane raffermo 250 g
Latte > 125 ml
Uova > 2
Farina > 50 g
Acciughe > 4 filetti
Olive nere di Gaeta > 100 g
Capperi > 1 manciata
Prezzemolo > 1 mazzetto
Erba cipollina > 15 steli
Aglio > 2 spicchi
Burro salato > 50 g
Brodo vegetale > 1 l
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Eliminate la crosta dal pane raffermo e tagliatelo a dadini. Versatelo in una ciotola aggiungendo il latte per farlo ammorbidire. Unite anche le uova sbattute e un trito di prezzemolo, erba cipollina, olive, capperi e acciughe. Salate e pepate. 
Amalgamate bene il composto con le mani e lasciatelo riposare per 2 ore in frigorifero, poi, con le mani bagnate, formate delle palline di circa 6 cm di diametro, ben pressate.
Passate i canederli nella farina e fateli cuocere nel brodo vegetale bollente per circa 12 minuti.
Fate intanto soffriggere l’aglio nel burro salato.
Servite i canederli irrorandoli col burro fuso e guarnendo con olive e capperi (o con un trito di pomodori secchi).

sabato 2 luglio 2022

Risotto al miso

Ieri sera a cena ci siamo trovati a parlare di tossicità in amore.
Il primo indiscutibile segnale di una relazione tossica è la perdita d’autostima. Se una relazione è escludente e smette di portare gioia e invece fa sentire tristi, arrabbiati, ansiosi o rassegnati, potrebbe essere tossica. 
Le relazioni tossiche sono sicuramente quelle di cui è più difficile elaborarne la fine. Se l’eutanasia di un amore ci porta, quasi inevitabilmente, ad attraversare fasi d’incredulità, rabbia, disperazione e accettazione, proprio come di fronte a un lutto, quando chiudiamo una relazione tossica è come se dovessimo elaborare la fine di due relazioni, la perdita di due persone, totalmente in contrapposizione tra loro. Prevale il senso di colpa. Per uscirne serve coraggio, forza, resilienza. E spesso un nuovo amore che c’insegni a essere empatici. Che ci faccia sentire più sensibili, più attenti alle emozioni e ai sentimenti altrui, e quindi ci permetta di capire i nostri errori, come rimediare e come cambiare in meglio. Soprattutto ci renda forti, perché essere innamorati significa anche essere pronti a soffrire. 
Per la rinascita di Alex, protagonista del mio nuovo romanzo Torneranno gli sguardi (Kappalab), è determinante l’incontro con Lorenzo, uno che ha dentro di sé il sorriso. Uno a cui gli occhi s’illuminano improvvisamente e brillano. Le riconosci così le persone vere, dallo sguardo. Alex capisce che non bisogna avere paura di abbandonare le apparenze per vivere nella consapevolezza di sé stessi. E soprattutto impara a non correre, allontanandosi da quegli schemi del “mordi e fuggi” che troppe volte sono alla base delle relazioni gay.
Durante un recente reading, una persona mi ha ringraziato perché ho raccontato che essere felici è possibile, anche per le persone LGBT+. Troppo spesso siamo i primi a concentrarci sugli stereotipi, a credere nella loro ineluttabilità, a rimanerne prigionieri. 
Ho amici per esempio che sognano il grande amore, ma vivono alla mercé di App illusorie, di cui fanno un uso ormai bulimico. L’attenzione o la potenzialità del sesso distrae da emozioni dolorose, dai vuoti dell'anima che spaventano come quelli d'aria in volo, ma certi contesti possono rivelarsi tossici per chi cerca altro.

Le abitudini, si sa, sono dure a morire, insieme alle nostre insicurezze.


PRIMI > RISOTTO AL MISO


Riso Arborio > 5 pugni
Miso > 60 g
Cipolla > ½
Alga wakame > 1 foglio
Zenzero fresco > 2 cm
Salsa di soia > 4 cucchiai
Furikake > 1 cucchiaio
Olio EVO > 2 cucchiai
Burro > 2 noci

Mettete l’alga wakame in ammollo in acqua fredda.
In una padella antiaderente, soffriggete la cipolla tritata e lo zenzero grattugiato in 2 cucchiai di olio EVO.
Aggiungete 1 litro d’acqua, la salsa di soia e l’alga wakame strizzata e affettata.
Lasciate sobbollire a fuoco lento per 20 minuti circa.
Spegnete il fuoco, aggiungete il miso e mescolate con un cucchiaio di legno fino a quando non si sarà completamente sciolto.
Versate 1 noce di burro in una padella antiaderente, portatela a temperatura e tostate il riso. Quando i chicchi avranno un aspetto traslucido versate il brodo bollente di miso filtrato, facendolo assorbire pian piano, un mestolo alla volta.
A cottura ultimata, mantecate il risotto lontano dal fuoco con 1 noce di burro, lasciandolo poi riposare per un paio di minuti.
Impiattate il risotto servendovi di un coppapasta, quindi spolveratelo con 1 cucchiaio di furikake (condimento giapponese per il riso acquistabile nei migliori supermercati orientali) o con un mix di alga nori tritata, semi di sesamo tostati, gamberetti essiccati e katsuobushi (bonito).






venerdì 10 settembre 2021

Pappa al pomodoro con capesante e mozzarella di bufala

Ieri sera a cena ci siamo divertiti a guardare le nostre vecchie foto sulla patente. E così ho scoperto che la mia era scaduta. Da due anni. 

Non guido di solito, lo faccio solo per lavoro, quando è necessario, quando sono solo. È Giorgio che guida, va dal meccanico, cambia le gomme, si occupa del motore. Io mi limito a stare nel sedile al suo fianco e qualche volta gli ricordo di frenare.

Quando le nostre nipotine erano piccole, si erano aggrappate a questo particolare per definire i ruoli nella nostra relazione. Giorgio guidava e io cucinavo. D’altra parte erano circondate da coppie eterosessuali, dove spesso i compiti sono sanciti dal sesso.

Non erano stupite dal fatto che fossimo due uomini e che ci amassimo, ma a sei anni stabilire i ruoli sembrava per loro fondamentale, anche se cercavano di non darlo a vedere. Poi un giorno mi hanno visto regalare dei fiori a Giorgio e sono andate in cortocircuito, perché di solito i fiori nella coppia li regala chi guida, non chi cucina, così ci hanno chiesto perché l’avessi fatto io. Non è stato difficile spiegare loro il perché. Da quel momento non ci sono state altre domande, mi piace pensare che abbiano capito come gli stereotipi di genere siano solo una catena che ci mantiene bloccati. Forse non se lo ricorderanno nemmeno più ora che sono due belle adolescenti.

Il concetto di genere è nato negli anni Settanta, quando le donne hanno preso coscienza del perdurare di una situazione di totale squilibrio tra i ruoli sessuali. Da questa profonda consapevolezza sono nati studi, associazioni, movimenti e politiche volte a riequilibrare l’uguaglianza tra i due sessi. Certo, uomini e donne non sono e non potranno mai essere la stessa cosa, ma devono avere gli stessi diritti. Solo così abbatteremo lo stereotipo del maschio dominante, aggressivo, competitivo, indipendente, ambizioso, sicuro di sé, avventuroso e decisionista, e anche quello femminile, affettuoso, remissivo, emotivo, empatico, loquace e gentile.

Ma rimane comunque il fatto che ho la patente scaduta, e che devo rinnovarla al più presto.


PRIMI > PAPPA AL POMODORO CON CAPESANTE E MOZZARELLA DI BUFALA


Passata di pomodori casareccia > 850 g

Pane toscano > 400 g

Capesante > 8

Mozzarella di bufala > 250 g

Aglio > 2 spicchi

Basilico > 1 mazzetto

Brodo di pesce > 1 litro

Olio extra vergine di oliva > qb

Peperoncino > 1 pizzico

Sale > 1 pizzico

Pepe > 1 pizzico 


Scaldate un filo d’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente e fate rosolare uno spicchio d’aglio a fuoco lento, fino a quando non sarà leggermente dorato. 

Unite la passata di pomodori e il mazzetto di basilico, salate, pepate e fate cuocere il tutto per qualche minuto, coprendo con un coperchio. 

Passate intanto il pane toscano al grill, facendolo leggermente tostare. 

Appena la salsa di pomodoro è pronta, aggiungere il brodo di pesce e il pane, mescolate il tutto a fuoco lento per qualche minuto, quindi fate riposare la pappa a temperatura ambiente per un’ora.

Pulite intanto le capesante staccando il mollusco dalla conchiglia aiutandovi con un coltellino. Rimuovete il corallo e le parti scure e sciacquatele sotto l’acqua corrente.

Scaldate un filo d’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente, aggiungete uno spicchio d’aglio e cuocete le capesante per un minuto e mezzo per lato, regolando di sale, quindi sfumate col vino bianco.

Prima di servire la pappa al pomodoro, scaldatela nuovamente aggiungendo un altro goccio d’olio. Guarnite con le capesante, la mozzarella di bufala tagliata a pezzetti e alcune foglie di basilico fresco. 

venerdì 18 giugno 2021

Vellutata di zucca allo zafferano con polvere di bresaola della Valtellina e burrata di Andria

Ho cambiato troppi indirizzi nella mia vita per poter sentire davvero come mia una casa in cui ho vissuto. Mi sono spesso chiesto come fosse vivere in quelle ville che ospitano intere generazioni della stessa famiglia, che accolgono nonni, figli, nipoti, che hanno un camino in cui gettare le scorze d’arancia e parquet che profumano di cera appena passata e di tempo cristallizzato, che hanno librerie che odorano di carta, inchiostro e sapienza, il cui aroma è la quintessenza di tutti gli odori, la geografia dell’eroe.
Le case in cui sono vissuto finora le sentivo come incomplete, precarie. Sapevo che presto o tardi me ne sarei andato, perché non erano mie, perché sarei cresciuto e avrei voluto vivere nuove esperienze, perché avrei avuto una famiglia tutta mia da inventare. 
Nell’attesa, forse per sentirmi meno solo, ho sempre scelto di abitare in appartamenti con un passato e una storia da raccontare. Certi mobili abbandonati non hanno quell’acume cosciente che li rende recettori responsabili: apri ante rimaste chiuse per troppo tempo e l’odore dei ricordi ti trascina in una sorta d’intimità estranea, ma che ti fa sentire comunque a casa. 
Ora, finalmente, ho smesso di cercare. Da qualche settimana viviamo nella nostra nuova casa, che è una casa di famiglia, un meraviglioso appartamento che ruota intorno a un grande terrazzo privato (che diventerà l’orto urbano per le mie nuove ricette), con soffitti alti, ampi spazi e numerose finestre che riempiono le tante stanze di luce, a cominciare dall’immenso salotto con camino. Una casa a cui altri hanno legato ricordi e che da ora registrerà e custodirà i nostri. 
La vita è fatta di nuovi inizi, anche quando meno te l’aspetti, anche quando i nuovi inizi non presuppongono tagli col passato, ma un premio per la serenità finalmente raggiunta.

PRIMI > VELLUTATA DI ZUCCA ALLO ZAFFERANO CON POLVERE DI BRESAOLA DELLA VALTELLINA E BURRATA DI ANDRIA


Patate medie > 4

Zucca > 400 g
Zafferano > 1 bustina
Bresaola > 50 g
Cipolla > ½
Farina bianca > 1 cucchiaio
Brodo vegetale > ½ litro
Olio extravergine d’oliva > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Per il brodo vegetale:
Porro > 1
Zucchina > 1
Sedano > 1
Carote > 2
Pomodoro > 1

Preparate un brodo vegetale con la zucchina, il sedano, le carote, il porro e i pomodori. Filtratelo e tenetelo da parte.
Sbucciate le patate e tagliatele a pezzetti.
Sbucciate la zucca, privatela dei semi interni e tagliatela a pezzetti.
Tritate la cipolla e fatela soffriggere in una pentola con 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva. 
Aggiungete le patate e la zucca e rosolatele per qualche minuto a fuoco vivace.
Versate il brodo caldo fino a coprire completamente le verdure, aggiungete lo zafferano e proseguite la cottura per 30 minuti.
Sistemate intanto le fettine di bresaola su un foglio di carta da forno e infornatele per 8 minuti a 160°.
Una volta pronte, lasciatele raffreddare e polverizzatele.
Terminata la cottura delle verdure, unite la farina, il sale e il pepe, e frullate con l’aiuto di un mixer a immersione, fino a ottenere una crema vellutata. Nel caso il composto non sia abbastanza morbido, aggiungete un altro po’ di brodo vegetale.
Servite la vellutata aggiungendo una quenelle di burrata (vi basterà lavorare con due cucchiai la parte interna più cremosa e filamentosa) e guarnendo con la polvere di bresaola. 

domenica 20 luglio 2014

Insalata di pasta al mango curry con feta, mela verde, pachino e menta

Forse vi sarà capitato di vedere, nelle piazze delle vostre città, alcune persone che manifestano stando in piedi con un libro in mano, ferme, immobili, come ferme e immobili sono le loro idee.
Non manifestano infatti per i propri diritti, ma per la negazione di quelli altrui.
Si fanno chiamare Sentinelle in Piedi e conducono una battaglia contro le rivendicazioni delle persone gay, lesbiche e transessuali. Perché, se è vero che il motivo del loro dissenso sarebbe quello di vegliare sulla libertà di espressione e opinione, la stessa si declina solo ed esclusivamente sul tema della negazione dei diritti per le persone omosessuali.
Secondo l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, l’omofobia danneggia ogni anno la salute e la carriera di milioni di persone. L’Italia è il paese dell’Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica e istituzionale: secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica, i suicidi della popolazione gay legati alla discriminazione omofobica costituirebbero il 30% di tutti i suicidi tra gli adolescenti.
In un periodo in cui si moltiplicano le aggressioni omofobiche, le Sentinelle in Piedi schierano a esercito le frange più fondamentaliste del cattolicesimo nazionale e dell’estrema destra alimentando l’odio e la violenza.
Quando una società non si accorge di “sentinelle” e di “milizie” che prendono terreno è ora di riconfigurare l’attenzione, e valutare bene i rischi che si possono correre a sottovalutare l’invasività del fondamentalismo nello spazio pubblico.
Pensateci quando li vedrete. 
È come se qualcuno manifestasse oggi per il diritto a offendere e perseguitare gli ebrei, i neri, le donne, inficiando anni di lotte e conquiste sociali, dai matrimoni misti ai diritti dei lavoratori, fino al diritto al divorzio o all’aborto…
Qui non è in discussione la fede individuale, ma l’uso politico della religione e della fede. E non possiamo permettere che siano le minoranze aggressive oltranziste a “difendere” la vita, la famiglia, la morale, la sessualità e le relazioni tra i generi.
Alle Sentinelle in Piedi non posso che ricordare le parole di Simone, 21 anni, che si è buttato da un palazzo di undici piani perché deriso, discriminato ed emarginato in quanto gay: «L’Italia è un Paese democratico, libero. Ma è anche una nazione dove ci sono persone omofobe. E chi ha questi atteggiamenti dovrà fare i conti con la propria coscienza».

PRIMI > INSALATA DI PASTA AL MANGO CURRY CON FETA, MELA VERDE, PACHINO E MENTA

Pasta corta > 300 g
Pomodorini pachino > 150 g
Mele Granny Smith > 1
Formaggio Feta > 150 g
Curry > 3 cucchiai
Mango in polvere > 1 cucchiaio
Menta > 1 mazzetto
Limone > 1
Olio estravergine d’oliva > ½ bicchiere
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Sciogliete 2 cucchiai di curry nell’acqua di cottura della pasta.
Scolatela al dente e fatela raffreddare con un getto veloce di acqua fredda. Scolatela nuovamente facendo molta attenzione: se la pasta rimane bagnata assorbirà l’acqua e risulterà collosa.
Versate la pasta in un’insalatiera e conditela con un’emulsione di olio extravergine d’oliva, curry e mango in polvere.
Lasciate riposare in frigo per circa un’ora.
Lavate intanto i pomodorini pachino, tagliateli in quattro e conditeli con poco olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
Tagliate il formaggio feta in dadini di circa 1 cm.
Sbucciate la mela e tagliatela a dadini di circa 1 cm (irrorando con poco succo di limone perché non anneriscano).
Lavate delicatamente le foglie di menta e asciugatele su un foglio di carta da cucina.
Togliete la pasta dal frigo, unite i pomodorini pachino, il formaggio feta, la mela e le foglie di menta spezzate a mano.
Mescolate delicatamente e servite subito, guarnendo con qualche foglia di menta.

La polvere di mango viene prodotta lavorandone i frutti: vengono affettati, fatti essiccare e macinati. Si trova in commercio anche col nome amchoor o amchur. Ha un colore che va dal nocciola al rosato, un profumo fresco e un gusto immediatamente aspro e pungente che rilascia poi al palato dolci note fruttate e sfumature di miele. Il suo contenuto di ferro, antiossidanti, vitamina A ed E, aiuta a combattere l'acidità di stomaco e migliora la digestione. Lo trovate in vandita nei supermercati etnici, nelle migliori erboristerie oppure on line.

martedì 11 marzo 2014

Tagliatelle nere alle trombette dei morti con burro salato e noci

Nei Corsi di Cucina che tengo a Ferrara mi confronto spesso con cuoche appassionate, che lamentano però una scarsa fantasia e una pigrizia ormai patologica.
La pigrizia in cucina è una forte ammaliatrice e sa propagandare alla perfezione l’arte della rinuncia preventiva.
Per vincerla è importante procedere a piccoli passi. Come spesso ripeto in questo blog, rielaborare i piatti della tradizione può essere un buon inizio per ritrovare la passione ai fornelli. A seconda delle materie prime disponibili nelle diverse stagioni, possiamo divertirci a reinterpretare con creatività le ricette a cui siamo più legati.
Per il mio primo Design Menù mi sono ispirato proprio ai piatti delle zone in cui ho vissuto, e soprattutto a quelli che cucinava mia madre quando ero bambino.
Molte tradizioni culinarie si stanno perdendo, così ho deciso di riproporle attraverso accostamenti inediti.
RicetteVintage – La cucina creativa nei piatti della tradizione contiene 5 ricette rivisitate ad hoc (l’insalata di pollo, gli gnocchi fatti in casa, il salmone in crosta, la mousse di cioccolato e il leggendario cocktail Manhattan) ed è disponibile online per il brand PopDesign al prezzo di 5,00 Euro. 
Per saperne di più clicca qui.

Dopo i miei recenti show cooking “vintage”, in molti mi hanno chiesto di rielaborare altri classici della cucina italiana, così ho deciso di proporvi oggi una versione creative delle tagliatelle, piatto tipico emiliano.
Lo scorso autunno una passeggiata nei boschi dell’Appennino Bolognese mi ha fatto riscoprire le trombette dei morti. Questi funghi crescono principalmente sotto i faggi o i castagni e hanno l’aspetto di bassi cespi di insalata dal colore funereo. La loro carne presenta un odore particolarmente intenso, sia prima sia dopo la cottura, e un sapore aromatico molto caratteristico. Non è un caso che siano stati ribattezzati il “tartufo dei poveri”: una volta essiccati e ridotti in polvere costituiscono un eccellente condimento per primi piatti e risotti.
Queste tagliatelle nere nascono nella cucina di mia madre e, una volta congelate, possono essere consumate durante tutto l’anno.
Il loro sapore vale certamente un paio d’ore in cucina. E i vostri ospiti potranno gustarsi un piatto mai provato prima.

PRIMI > TAGLIATELLE NERE ALLE TROMBETTE DEI MORTI CON BURRO SALATO E NOCI

Farina > 300 g
Uova > 2
Trombette dei morti > 100 g
Parmigiano Reggiano > 40 g
Noci > 12
Burro salato > 80 g
Olio extravergine d’oliva > 1 cucchiaino
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Pulite e lavate i funghi in acqua corrente e abbondante.
Fateli sgocciolare bene e cuoceteli in una pentola bassa e scoperta.
Tenete la fiamma alta fino a quando non avranno rilasciato tutta l'acqua di vegetazione, quindi abbassatela leggermente.
Una volta evaporata tutta la loro acqua spegnete e fateli raffreddare.
Passate i funghi al mixer.
Setacciate la farina sulla spianatoia, disponetela a fontana e fate al centro un incavo col pugno.
Rompete le uova e versarle nell'incavo della farina.
Unite i funghi passati al mixer, un pizzico di sale e iniziate a impastare con un movimento rotatorio.
Una volta che l’impasto sarà amalgamato bene, cominciate a lavorarlo energicamente per almeno 10 minuti, fino a quando non sarà liscio e sodo.
Per rendere la pasta più elastica, sbattetela ogni tanto sulla spianatoia.
Fate riposare il panetto per 60 minuti in un luogo fresco e asciutto, avendo cura di avvolgerlo nella pellicola trasparente o in un panno umido.
Stendete poco impasto per volta col matterello, infarinando la spianatoia perché la pasta non si attacchi.
Arrotolate ogni sfoglia su se stessa (una alla volta) e tagliala con un coltello affilato in strisce larghe ½ centimetro.
Allargate le tagliatelle su un piano asciutto e fatele asciugare per qualche ora.
Cuocete le tagliatelle in abbondante acqua salata, scolatele al dente e fatele saltare nel burro salato.
Prima di servire cospargete con un pizzico di pepe macinato fresco, una grattugiata di Parmigiano Reggiano grattugiato e una generosa manciata di noci tritate al coltello, leggermente tostate in padella.

sabato 21 settembre 2013

Spaghetti al limone con sarde fresche e trito di pistacchi di Bronte

Una vacanza tra Palermo, Alcamo e Favignana è stata l’occasione per conoscere nuovi amici, scoprire inediti ingredienti da testare nei miei piatti e farmi innamorare definitivamente della Sicilia. Ho già voglia di ritornare, così come ho voglia di condividere con voi i miei prossimi esperimenti culinari...
Tutto, però, è rinviato di almeno un paio di settimane, perché mi sto concentrando sulla prima edizione di TAG – FESTIVAL DI CULTURALGBT, che debutterà dal 4 al 6 ottobre tra gli eventi collaterali della manifestazione INTERNAZIONALE A FERRARA.
Saranno molti gli ospiti a cui farò da anfitrione a Palazzo della Racchetta (Via Vaspergolo 6/a, Ferrara), ma uno in particolare avrà tutte le mie attenzioni culinarie.
Gli omosessuali cucinano e mangiano diversamente dagli eterosessuali?
Venerdì 4 ottobre 2013 alle ore 20.30 cercherò di rispondere a questa domanda con AlessandroFullin, brillante attore teatrale e acclamato comico televisivo noto per le sue partecipazioni a Zelig e a G day.
Ricordate la popolarissima “professoressa di tuscolano”? Be’, Alessandro Fullin sarà l’ospite d’onore di una divertentissima cena che mi vedrà alle prese con i miei piatti di cucina creativa: un’occasione speciale per conoscersi a tavola, con persone di ogni razza e sesso, gay, etero e metrosexual… Che sia questo il prossimo traguardo della cucina “fusion”?
Il menù comprende quattro miei cavalli di battaglia:
Antipasto > STRACCETTI DI POLLO CON TAPENADE DI OLIVE NERE, POMODORI, PRUGNE E FICHI SECCHI 
Primo > LASAGNETTE INVERNALI CON LARDO DI COLONNATA 
Secondo > BOCCONCINI DI COPPA DI MAIALE AL TÈ NERO VANIGLIA 
Dolce > PANNA COTTA ALLO ZAFFERANO CON SALSA AL VINO ROSSO 
Durante la cena Alessandro Fullin presenterà Pomodori sull'orlo di una crisi di nervi. La vera cucina gay italiana (Cairo), un manuale self help del convivio, che suggerisce ricette, spunti di conversazione e rispetta l’etichetta, mettendo a tavola la comunità gay insieme ai propri compagni, amici e famiglie.
Realizzato con la complicità di Stefano Chiara per le ricette e Adua Villa per gli abbinamenti dei vini, il libro suggerisce tutti i piatti per le occasioni importanti, quelli della mamma, ricette regionali con abbinate le caratteristiche della persona gay locale (gli emiliano romagnoli, per esempio, sono simpatici, fantasiosi e socievoli, ma ruvidi come una tagliatella che trattiene il sugo), ricette per gli amici eterosessuali, i piatti per sedurre, i cocktail e infine il biscotto per l’adorato chihuahua.
Attenzione, però: la cena è su prenotazione e i posti limitati.
Per informazioni: info@circomassimo.org
Per il programma di TAG – FESTIVAL DI CULTURALGBT clicca qui.

PRIMI > SPAGHETTI AL LIMONE CON SARDE FRESCHE E TRITO DI PISTACCHI DI BRONTE
Spaghetti > 400 g
Sarde fresche > 400 g
Uva sultanina > 30 g
Pinoli > 40 g
Pangrattato > 50 g
Pistacchio tritato > 4 cucchiai
Limone > 1
Scalogno > 2
Prezzemolo > 1 mazzetto
Acciughe sott’olio > 6
Olio extravergine d'oliva > 4 cucchiai
Zucchero > 1 cucchiaio
Sale > 1 pizzico
Peperoncino > 1 pizzico 

Pulite le sarde fresche, eliminando le teste, le code, le interiora e le lische centrali.
Lavatele delicatamente sotto l’acqua corrente, evitando un getto troppo forte e diretto.
Affettate finemente gli scalogni e fateli rosolare in una padella antiaderente con l’olio extravergine d'oliva. 
Tritate i filetti di acciuga con il prezzemolo e aggiungeteli al soffritto. 
Unite l’uva sultanina (precedentemente ammollata e ben strizzata), i pinoli, la scorza grattugiata di un limone e i filetti di sarde. Lasciate cuocere il condimento a fuoco medio per qualche minuto, girando i filetti una sola volta. 
In un pentolino a parte, fate tostare il pangrattato con lo zucchero e un pizzico di peperoncino. 
Cuocete gli spaghetti in acqua bollente salata, scolateli al dente e versateli nel condimento.
Mescolate distribuendo il pangrattato e lasciate riposare lontano dal fuoco per due minuti. 
Servite completando ogni piatto con un cucchiaio di pistacchio tritato.