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domenica 28 settembre 2025

Melanzane al miso

Keiko Ichiguchi e Andrea Accardi sono stati ospiti a Expo 2025 a Osaka: nel Padiglione Italia si è infatti celebrato il legame creativo tra Italia e Giappone attraverso il fumetto, un linguaggio che supera confini e differenze culturali, capace di raccontare storie universali.
Non a caso Andrea e Keiko hanno firmato insieme per Kana (etichetta del gruppo Dargaud) il graphic novel La vita di Otama, tradotto in italia per Sergio Bonelli Editore, che narra la vita della pittrice O'Tama Kiyohara, trasferitasi in Sicilia dopo aver sposato lo scultore palermitano Vincenzo Ragusa, e che, con le sue opere, ha saputo unire due mondi lontani.
Keiko e Andrea sono due amici preziosi. Ho avuto la fortuna di lavorare con entrambi – soprattutto con Andrea – in progetti che mi hanno arricchito artisticamente e umanamente. Sapere che sul palco di Expo hanno mostrato anche Matteo e Enrico, personaggi che ho scritto con e per Andrea Accardi (prima per Kappa Edizioni e poi per Feltrinelli) è stato per me motivo di orgoglio e gratitudine.
Per ricambiare, ho voluto preparare un piatto che rappresentasse sia Keiko sia Andrea. La cucina, come il fumetto, è un linguaggio universale, capace di mescolare tradizioni diverse, di unire elementi lontani e di raccontare storie sempre nuove. Così ho preso alimenti mediterranei e familiari come la mozzarella e la melanzana, e li ho fatti incontrare col miso, condimento tradizionale giapponese a base di soia fermentata, sale e cereali come riso o orzo. 
Certo, potrebbero sembrare mondi distanti, ma in cucina, come nel racconto a fumetti (e nella vita), le differenze arricchiscono: la delicatezza della mozzarella, il carattere della melanzana e la profondità del miso si sono armonizzati in un equilibrio sorprendente. Ne è nato un piatto dal gusto umami, capace di evocare sapori, memorie e incontri, che dedico con affetto ad Andrea e Keiko.
Un piccolo gesto per celebrare l’amicizia, la creatività condivisa e il coraggio di contaminarsi, di attraversare culture diverse e di costruire ponti tra storie lontane. Perché, in fondo, sia la cucina sia il fumetto hanno lo stesso potere: trasformare la distanza in vicinanza, il diverso in armonia e rendere ogni incontro un’esperienza memorabile.

Fatemi sapere nei commenti…

SECONDI > MELANZANE AL MISO


Melanzane > 2
Mozzarella > 125 g
Miso scuro > 2 cucchiai
Mirin > 2 cucchiai
Acqua > 4 cucchiai
Miele > 2 cucchiaini
Olio di semi di mais > 1 bicchiere
Olio di sesamo tostato > 2 cucchiai
Sale > 1 pizzico

Lavate le melanzane e tagliatele per il lungo, senza eliminare il picciolo.
Con la punta di un coltello, incidetene la polpa con tagli paralleli incrociati, facendo attenzione a non arrivare alla buccia.
Spolveratele di sale, adagiatele su un piano e lasciatele riposare per un’ora, fino a quando non avranno perso l’acqua di vegetazione.
Nel frattempo versate in una ciotola la pasta di miso scuro, il mirin, l’acqua, l’olio di sesamo tostato e il miele.
Mescolate finché gli ingredienti non saranno bene amalgamati e il composto non sarà liscio e omogeneo. Tenetelo da parte.
Sciacquate le melanzane e asciugatele con un foglio di carta assorbente.
In un’ampia padella antiaderente portate a temperatura l’olio di semi di mais.
Adagiate le melanzane dalla parte della polpa, coprite con un coperchio, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per 5 minuti.
Girate le melanzane dalla parte della buccia e proseguite la cottura per altri 10 minuti, mantenendo il coperchio sulla padella.
Trasferite le melanzane in una teglia foderata con carta forno, ponendole sempre dalla parte della buccia.
Aiutandovi con una spatola, stendete il composto di miso sulla polpa.
Distribuite la mozzarella grattugiata sul composto di miso.
Cuocete in forno caldo a 200°C per 10 minuti, finché la mozzarella non sarà dorata.
Lasciate intiepidire le melanzane prima di servirle.

Se ami le melanzane e i sapori orientali, prova anche le Melanzane in salsa wafu con semi di sesamo e katsuobushi...!



giovedì 18 settembre 2025

Cetrioli in salsa agrodolce all'arancia

Ieri sera a cena abbiamo parlato di viaggi e di amori immaginari che restano impressi nella memoria. 
È stato N. a rompere il ghiaccio, dopo aver assaggiato il mio contorno di cetrioli in salsa agrodolce all’arancia. È rimasto qualche secondo in silenzio, poi ha sorriso e mi ha detto: “Sai che questo sapore mi riporta a Kyoto?”. Così ha iniziato a raccontarci di come, anni fa, durante un soggiorno studio in Giappone, avesse conosciuto un ragazzo che lavorava in un piccolo ristorante a conduzione familiare dove si fermava sempre a mangiare. Un locale stretto, due piani di legno scuro, con un odore tipico di riso e agrumi. Dietro al bancone c’era sempre lui: mani sottili, gesti precisi, un sorriso timido che si accendeva solo di rado. F. e quel ragazzo non parlarono mai davvero. Qualche parola di cortesia, certo, ma niente di più. Eppure, ogni volta che gli porgeva un piatto, F. immaginava che ci fosse un messaggio nascosto: una complicità silenziosa, un’intesa che non aveva bisogno di traduzioni. Una sera gli preparò un piccolo contorno extra: cetrioli stufati in una salsa dolce e agrumata. F. non seppe mai se fosse una coincidenza o un gesto premeditato, ma gli piacque pensare che fosse un dono speciale.
Non ci fu nessuna dichiarazione, nessuna confidenza. In Giappone, non è facile oltrepassare la soglia del non detto, specialmente per un giovane turista. Però quell’immagine gli è rimasta: due uomini separati da un bancone che si scambiano silenzi carichi di possibilità. Un amore immaginato, sospeso, forse più intenso proprio perché mai accaduto. E ieri sera, davanti al mio piatto, quell’amore silenzioso è tornato per un attimo a vivere. 
“Ecco perché” – mi ha confessato – “il tuo piatto mi ha fatto tornare a sorridere, proprio come allora”.

E tu? C'è un sapore che ti ha fatto ricordare una storia d’amore? Scrivilo nei commenti qui sotto…

CONTORNI > CETRIOLI IN SALSA AGRODOLCE ALL’ARANCIA


Cetrioli > 3
Succo d’arancia > 1 bicchiere
Marmellata d’arance > 1 cucchiaio
Zenzero fresco > 2 cm
Salsa di soia > 4 cucchiai
Pepe di Sichuan > 1 cucchiaino
Peperoncino > 1 pizzico
Zucchero > 1 cucchiaino
Semi di sesamo > 1 cucchiaio
Olio EVO > 3 cucchiai

Lavate i cetrioli, pelateli e tagliateli a metà per il lungo.
Usate un cucchiaio per raschiare via i semi dalla cavità centrale, quindi tagliateli a cubetti.
In una padella antiaderente bene oliata, versate il pepe di Sichuan macinato fresco, il peperoncino, lo zenzero grattugiato, la marmellata d’arance e il cetriolo.
Saltate per 2 minuti, quindi aggiungete il succo d’arancia, la salsa di soia e lo zucchero.
Fate cuocere i cetrioli finché il liquido non si sarà ristretto.
Lasciate raffreddare e serviteli con una spolverata di semi di sesamo tostati.

Se ti piacciono i cetrioli e i sapori giapponesi, prova anche i Gamberi teriyaki con insalata sunomono di cetriolo e alghe wakame...!

domenica 24 agosto 2025

Bulgogi “Seoul Cooking Club”

La cucina coreana è un mosaico di sapori che propone piatti fermentati, grigliati e al vapore, sempre e comunque condivisi: non è mai solo nutrimento, ma un linguaggio culturale fatto di equilibrio e convivialità. Accanto all’onnipresente kimchi e al colorato bibimbap, c’è però un piatto che negli anni è diventato ambasciatore della tavola coreana nel mondo: il bulgogi (
lett. “carne al fuoco”).
Le sue origini risalgono al Goguryeo (uno dei Tre regni di Corea, insieme a Baekje e Silla, fondato nel 37 a.C.), quando se ne cucinava una forma arcaica chiamata maekjeok (“carne alla brace”), che nei secoli si è trasformata in neobiani (“[carne] sottilmente disposta”) piatto dei banchetti reali della dinastia Joseon (1392-1897), fino ad arrivare all’attuale bulgogi, codificato nel Novecento e reso popolare anche grazie alla diffusione delle affettatrici durante la Guerra di Corea. Oggi è una delle ricette coreane più conosciute al mondo, presente nei ristoranti tradizionali come nei fast food di Seoul, servito perfino durante la cena ufficiale con Barack Obama in visita in Corea, a dimostrazione di quanto sia versatile e simbolico.
La forza del bulgogi è quella di essere insieme quotidiano e speciale: un piatto che si prepara in famiglia per le feste, ma che allo stesso tempo compare con naturalezza nella cultura pop. Avvolgere la carne nella lattuga, aggiungendo magari un po' di riso e kimchi, è un modo delizioso per gustarlo.
Nei K-drama lo s'incontra di continuo, da Princess Hours (la cui protagonista, andata in sposa a un principe, vorrebbe mangiarli, ma le viene proibito perché non sono considerati un cibo raffinato adatto alla famiglia reale) ad Arang and the Magistrate (dove diventa strumento di seduzione culinaria tra una sciamana e il servitore di un magistrato, che ne assaggia un boccone e s’innamora), fino a Weightlifting Fairy Kim Bok Joo (rituale gastronomico di gruppo tra Bok Joo e le sue amiche). In The Business Proposal il bulgogi è parte di cene sontuose, mentre in Itaewon Class è un piatto che il protagonista Park Sae-ro-yi prepara con le proprie mani per dimostrare la sua abilità culinaria quando apre il ristorante DanBam a Itaewon, e non mancano cameo del bulgogi in altri drama di culto come Crash Landing on You o Reply 1988. In fondo, anche questo spiega la sua fortuna: il bulgogi non è semplicemente carne marinata, ma un modo di stare insieme che ha saputo attraversare i secoli, adattarsi e diventare icona.
La ricetta che vi propongo oggi l’ho imparata qualche settimana fa a Seoul durante una masterclass di cucina coreana con la chef Grace, titolare della scuola di cucina Seoul Cooking Club.

SECONDI > BULGOGI COREANO

Filetto di manzo a fette sottili > 500 g
Cipolla > 1/2
Funghi champignon > 100 g
Spaghetti di soia > 250 g
Aglio > 1 spicchio
Cipollotti > 2
Zucchero > 4 cucchiaini
Salsa di soia > 1/2 tazza
Olio di sesamo tostato > 2 cucchiai
Olio di semi > 2 cucchiai
Semi si sesamo > 4 cucchiai
Pepe > 1 pizzico

Preparate la marinata mescolando in una ciotola la salsa di soia, lo zucchero, l’aglio grattugiato, il pepe e l’olio di sesamo tostato. 
Versate le fettine manzo e lasciatele marinare in frigorifero per tutta la notte. La marinata non infonde semplicemente alla carne un sapore delizioso, ma la rende anche più tenera.
Mettete gli spaghetti di soia in ammollo in acqua tiepida per 30 minuti.
Nel frattempo, affettate i funghi, i cipollotti e la cipolla.
Scaldate l’olio di semi in una grande padella a fuoco medio-alto.
Quando la padella è calda, aggiungete le fettine di manzo marinate.
Una volta rosolate, toglietele dal fuoco e tenetele da parte.
Nella stessa padella versate le verdure e lasciatele cuocere, unendo a poco a poco la marinata e mescolando finché non saranno cotte.
Scolate gli spaghetti di soia (tagliateli con un paio di forbici se dovessero essere troppo lunghi) e versateli nella padella con le verdure.
Unite quindi le fettine di manzo rosolate e saltate per qualche secondo.
Trasferite il bulgogi in un piatto da portata, guarnitelo con una spolverata di semi di sesamo tostati e servitelo caldo con riso al vapore e i tuoi contorni preferiti, come il kimchi o le verdure sottaceto.












 

mercoledì 30 aprile 2025

Sushi (Cafè Kappa)

Andy Warhol una volta disse: «Credo che un artista sappia fare bene qualunque cosa; cucinare, per esempio». E io ho preso alla lettera le sue parole.
Con gli altri Kappa boys, nel novembre del 2000 ho aperto e gestito per alcuni anni il Sushi Café Kappa, primo ristorante giapponese a Bologna nonché una delle esperienze più elettrizzanti della mia vita, che mi ha insegnato più di un segreto sulla cucina giapponese e sull’arte dei cocktail.
Ricordo bene come tutto è iniziato. Amavamo la cucina giapponese ed eravamo stanchi di andare a Milano (o a Roma) per mangiare sushi. Può sembrare un po’ snob, ma volevamo mettere nella ristorazione la stessa passione e lo stesso rispetto per il Giappone che dimostravamo nella cura dei manga, da quando avevamo portato il fumetto giapponese in Italia.
All’inizio immaginavamo di aprire un piccolo take away, poi ci siamo detti che un paio di mensole e qualche sgabello sarebbero stati utili, per chi avesse voluto consumare direttamente sul posto. Poi un giorno suona alla porta della redazione un ragazzo che non conoscevamo, ci spiega al citofono che aveva saputo della nostra idea di aprire un locale in centro, che lui avrebbe voluto fare lo stesso in periferia, che avremmo potuto allearci per fare insieme gli acquisti e risparmiare. La famiglia di Patrizio aveva una discoteca, ma nemmeno lui aveva esperienze di ristorazione.
Lo abbiamo fatto salire e abbiamo iniziato a sognare insieme, e in quei nuovi sogni le mensole hanno lasciato il posto ad alcuni tavolini, poi a un’intera sala ristorante, affiancata da un’altra sala in cui poter bere un cocktail in attesa del tavolo, cullati dalle note lounge di un dj.
Non so come, ma un giorno tutto è diventato realtà. Il locale ha preso vita per mano dello studio di architetti che aveva firmato le più belle discoteche della riviera romagnola, tutto specchi e cascate d’acqua. In cucina sono arrivati due cuochi direttamente dal Giappone (Mata e Toru) e poi abbiamo ingaggiato camerieri, barman, performer.
Per due anni abbiamo fatto scoprire i veri sapori del Sol Levante, prima dei tanti ristoranti cino-giapponesi, prima del turismo di massa in Giappone, prima delle mode. Ne vado molto fiero.
In quegli anni ho osservato, imitato, imparato molte delle tecniche che svelo nei miei libri di cucina. Come in questa ricetta del sushi, che nel ricettario IN CUCINA CON GLI ANIME GIAPPONESI (pubblicato da Kappalab e giunto ormai alla terza ristampa) è abbinata a Detective Conan.
Itadakimasu!

SECONDI > SUSHI (CAFÈ KAPPA)

Riso per sushi > 300 g
Aceto di riso > 70 ml
Zucchero > 1 cucchiaio
Sale > 1 cucchiaino
Alga konbu > 3x3 cm
Alga nori > 4 fogli
Salmone > 1 trancio (200 g)
Avocado > 1/2

Scaldate a fiamma bassa l’aceto di riso, lo zucchero e il sale, spegnendo il fuoco non appena lo zucchero si sarà sciolto, prima che il composto raggiunga l’ebollizione.
Aggiungete l’alga kombu e lasciate riposare la vinaigrette in frigo per 1 ora.
Sciacquate il riso in una bacinella di acqua fredda. Cambiate l’acqua e ripetete l’operazione fino a che non sarà limpida e trasparente.
Scolate il riso e fatelo riposare per 30 minuti.
Cuocetelo in una casseruola coperta, a fuoco medio, in 400 ml d’acqua.
Raggiunta l’ebollizione, abbassate la fiamma e coprite il tegame con un coperchio.
Cuocete per 13 minuti (senza sollevare il coperchio), poi spegnete il fuoco e lasciate riposare altri 10 minuti.
Trasferite il riso in un contenitore (meglio se di legno) largo e basso.
Versate la vinaigrette sul riso ancora caldo. Mescolate con una spatola bagnata facendo attenzione a non schiacciare il riso e avendo cura di sventolarlo con un giornale (l’aria favorirà il rapido assorbimento della vinaigrette).
Coprite con uno strofinaccio e tenete da parte (mai in frigo).
Tagliate a metà un avocado (non troppo maturo), eliminate il nocciolo, incidete la polpa e prelevatela con l’aiuto di un cucchiaio, quindi tagliatela a fettine.
Mettete un foglio di alga nori sul tappetino per sushi.
Stendete un pugno di riso con le mani bagnate, lasciando 1 cm vuoto lungo il bordo inferiore.
Disponete al centro le fettine di salmone e di avocado.
Partendo dal basso, arrotolate l’alga nori utilizzando il tappetino finché i bordi non si congiungono, praticando una leggera pressione in modo da sigillarli per bene.
Tagliate l’hosomaki a metà e poi ciascuna parte in 4 pezzi.
Se preferite un uramaki (come quello nella foto), capovolgete l’alga in modo che il riso sia a contatto con la stuoia e procedete dal punto 8.




venerdì 11 ottobre 2024

Beef Stew di Kiriko

Il ragazzo e l’airone, ultima fatica del premio Oscar Hayao Miyazaki, è da pochi giorni su Netflix e per celebrare l’evento voglio condividere con voi la ricetta dello stufato di Kiriko.
Nel film viene cucinata una versione alternativa del classico beef stew giapponese, preparata facendo bollire la carne di un grosso pesce che Kiriko e Masato hanno macellato insieme, mentre io vi insegnerò la versione originale del piatto, con manzo, patate e carote… quella che in Giappone pronunciano “bīfu shichū”.
Piccolo dettaglio curioso, Kiriko mangia lo stufato con un pezzo di pane e non col riso. E così faremo anche noi.
Il cibo è da sempre una delle caratteristiche più importanti del cinema di Miyazaki.  Il maestro utilizza con accortezza pietanze e bevande per radunare i personaggi, costruire i loro rapporti e aggiungere profondità alle storie.
È rarissimo vedere nei film di Miyazaki piatti ricercati con ingredienti rari e costosi: nella maggior parte dei casi troviamo infatti pietanze casalinghe, piccoli spuntini o gustosissimi bento.
Non è la prima volta che Hayao Miyazaki fa gustare lo stufato di manzo ai suoi personaggi. I fan del regista lo avevano infatti già visto cucinare da Sheeta nel film Il castello nel cielo, meglio noto con il titolo originario di Laputa (1986). È lei a prepararlo sulla nave Tiger Moth per la ciurma di pirata dell’aria capitanata da Dola. Lo cuoce a fuoco lento in una pentola molto grande e come tocco finale aggiunge una grattugiata di formaggio cheddar. Bazu e del resto della famiglia lo mangiano di gusto! Certo, nel film era Tiger Moth Stew (stufato di falena tigre), ma anche in questo caso io preferisco rimanere sul classico.

Qual è il vostro ricordo più bello legato ai film di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli?
Quale il piatto che più vi ha fatto venire l'acquolina in bocca?
Raccontami la tua esperienza nei commenti qua sotto!

Se amate gli anime e la cucina, vi ricordo che dal 18 ottobre troverete in libreria il mio nuovo ricettario, intitolato In cucina con gli anime della TV, che si affianca ai precedenti In cucina con gli anime giapponesi e In cucina con gli anime dello Studio Ghibli.
Se volete approfondire la visione del film, in libreria trovate invece il romanzo originale a cui è ispirato, intitolato E voi come vivrete?, e il saggio Studio Ghibli – La fabbrica dei sogni. Dalle origini a Il ragazzo e l'airone, che ne racconta la genesi.

SECONDI > BEEF STEW DI KIRIKO



Muscolo di manzo > 600 g
Patate dolci > 3
Carote > 3
Cipolla > 1
Brodo di manzo > 1 l
Salsa di soia > 6 cucchiai
Mirin > 3 cucchiai
Sakè > 3 cucchiai
Zucchero > 2 cucchiai
Curry > 1 cucchiaio
Triplo concentrato di pomodoro > 1 cucchiaio
Vino rosso > 1 bicchiere
Olio di sesamo > 4 cucchiai
Amido di mais > 1 cucchiaio
Sale e pepe > 1 pizzico

Sbucciate le patate dolci e tagliatele a pezzetti. Mondate e tagliate le carote a rondelle e la cipolla in quattro parti.
Rosolate la carne in una pentola bene oliata, poi sfumatela col vino rosso.
Lasciate evaporare l’alcool e aggiungete le carote e la cipolla. Fate saltare per qualche minuto.
Aggiungete il concentrato di pomodoro, la salsa di soia, il mirin, il sakè, il curry, lo zucchero e il brodo fino a coprire a filo la carne e le verdure.
Mettete il coperchio e proseguite la cottura a fuoco lento per 1 ora e ½, poi aggiungete le patate.
Cuocete altri 30 minuti, fino a quando la carne non risulterà tenera.
Togliete la carne e le verdure, e fate rapprendere il fondo di cottura aggiungendo 1 cucchiaio di amido di mais sciolto in un goccio d’acqua.
Servite la carne e le verdure su un mestolo di fondo di cottura.

martedì 8 ottobre 2024

Sukiyaki Amamizukan

In attesa che il 18 ottobre esca in libreria il mio nuovo ricettario, intitolato In cucina con gli anime della TV, oggi vi svelo la mia ricetta del sukiyaki. Un piccolo extra per tutti gli otaku che seguono il mio blog.
In Giappone, questo piatto è da sempre un simbolo di amicizia, quindi mi fa piacere condividerlo con tutti voi.
L’abitudine di consumare il sukiyaki in famiglia nel fine settimana o nelle ricorrenze più importanti è nata a Kyoto negli anni Quaranta del Novecento. Ancora oggi la pentola che contiene il brodo caldo viene posta al centro della tavola e ognuno intinge e cuoce il suo pezzetto di cibo, chiacchierando e scherzando.
Per realizzare questo sukiyaki mi sono ispirato alla serie Kuragehime – La principessa delle meduse, una commedia romantica e surreale tratta dall’omonimo manga josei (per donne e giovani adulte) di Akiko Higashimura.
Nell’anime, a cucinarlo per le inquiline del dormitorio Amamizukan è la diciottenne Tsukimi, una otaku che si è trasferita a Tokyo per diventare un’illustratrice. Al solo vederlo mette l’acquolina in bocca!
La storia di Kuragehime inizia quando, un giorno, Tsukimi si trova a discutere col commesso di un negozio di animali per salvare una medusa, che sta morendo a causa di metodi di allevamento errati. Ad aiutarla nella difficile impresa sarà una splendida ragazza alla moda, che si rivelerà però essere Kuranosuke, secondogenito illegittimo di un politico locale.
In Giappone Kuragehime è stato trasposto anche in un film live-action nel 2014 e in una fiction televisiva nel 2018. Se vi ho incuriosito, l’anime vi aspetta su Crunchyroll.

SECONDI > SUKIYAKI



Funghi shiitake > 4
Tofu > 200 g
Cavolo di Pechino > 12 foglie
Spinaci freschi > 300 g
Cipollotti > 4
Noodles > 250 g
Carpaccio di manzo > 300 g
Brodo dashi (brodo di pesce) > 1 l
Salsa di soia > ¼ di tazza
Mirin > ¼ di tazza
Sake > 2 cucchiai
Zucchero > 1 cucchiaio
Riso bianco cotto > 400 g (facoltativo)
Uova > 4 (facoltativo)

Versate in una pentola la salsa di soia, il mirin, il sake e lo zucchero.
Lasciate sobbollire finché tutto lo zucchero non sarà sciolto, quindi trasferite la salsa sukiyaki in una ciotola.
Mettete i funghi shiitake secchi a rinvenire in 400 ml di acqua calda per 40 minuti, quindi strizzali delicatamente e incidi una croce sul cappello.
Tagliate il tofu a fette, lavate le foglie del cavolo di Pechino, quelle degli spinaci, mondate e affettate i cipollotti (separando la parte bianca da quella verde).
Lessate i noodles per 6 minuti in acqua bollente leggermente salata, quindi scolateli e metteteli da parte.
In una padella antiaderente, soffriggete la parte bianca del cipollotto, quindi aggiungete e rosolate il carpaccio di manzo.
Versate la salsa sukiyaki e il brodo dashi e lasciate cuocere a fuoco dolce.
Aggiungete il tofu, i funghi shiitake, il cavolo di Pechino e gli spinaci dividendoli in sezioni.
Versate infine i noodles, coprite la pentola e proseguite la cottura per circa 5-7 minuti.
Togliete il coperchio, aggiungete il carpaccio rosolato e la parte verde del cipollotto, e portate direttamente in tavola accompagnando il sukiyaki con riso bianco cotto e tuorlo d'uovo freschissimo (in cui immergere i vari ingredienti prima di gustarli).



venerdì 24 maggio 2024

Yakibitashi di asparagi

Contorno giapponese

I principi del fascismo si diffondono nell’aria, mascherati furtivamente da qualcos’altro, sfidando tutto ciò che rappresentiamo. Le persone e le nazioni non imparano nulla dalla storia, questo è ormai chiaro. Non riusciamo a imparare la lezione o traiamo conclusioni sbagliate. Ormai, l’amnesia storica è la norma.  
A questo proposito, molto interessante è l'analisi di Laurence W. Britt, uomo d'affari internazionale e autore del saggio Fascismo, chiunque? (2003). 
Questo commentatore ormai in pensione individua il minimo comune denominatore in regimi come quello dell’Italia fascista, della Germania nazista, della Spagna franchista, del Portogallo di Salazar, della Grecia di Papadopoulos, del Cile di Pinochet e dell’Indonesia di Suharto.
Quattordici punti allarmanti che il governo Meloni e le amministrazioni locali di centro destra hanno fatto propri ormai da anni.
1. Espressioni potenti e continue di nazionalismo
Slogan accattivanti, orgoglio per l’esercito e richieste di unità erano (e sono ancora oggi) temi comuni nell’esprimere questo nazionalismo.  
2. Disprezzo per l'importanza dei diritti umani
Attraverso la propaganda, la popolazione è portata ad accettare ogni violazione dei diritti umani emarginando e demonizzando coloro che sono presi di mira.
3. Individuazione dei nemici/capri espiatori come causa unificante
Il capro espiatorio (il PD, per esempio) è il mezzo per distogliere l’attenzione della gente da altri problemi, per spostare la colpa per i fallimenti e per incanalare la frustrazione in direzioni controllate.
4. La supremazia militare
Una quota sproporzionata delle risorse nazionali è destinata all’esercito, anche quando le esigenze interne sono altre (scuola, sanità…).
5. Sessismo dilagante
Misogini, contrari all’aborto e anche omofobi, sfruttano la religione per coprire i loro abusi.
6. Mass media controllati
Il diritto all'informazione è negato ai cittadini. I giornalisti scomodi, che si oppongono alla propaganda di potere, vengono epurati e screditati, tanto in Rai quanto nella stampa locale.
7. Ossessione per la sicurezza nazionale
Un mezzo per trasformare i comuni cittadini in un esercito non ufficiale di poliziotti e soldati, solidali col potere.
8. Religione ed élite dominante legate insieme
La propaganda mantiene l’illusione che le destre difendano la fede, anche se il comportamento dei suoi rappresentanti politici è spesso incompatibile con i precetti della religione.
9. Potere delle multinazionali protetto
I membri dell’élite economica sono spesso coccolati dall’élite politica per garantire una continua reciprocità di interessi.
10. Potere del lavoro soppresso o eliminato
Il lavoro organizzato è in grado di sfidare l’egemonia politica della destra al potere e dei suoi alleati aziendali, così viene inevitabilmente schiacciato o reso impotente.
11. Disprezzo e repressione degli intellettuali e delle arti
Le idee non ortodosse o le espressioni di dissenso vengono costantemente attaccate, messe a tacere o represse.
12. Ossessione per il crimine e la punizione
La polizia è spesso glorificata e ha un potere quasi incontrollato, che porta ad abusi nei confronti dei più deboli, indifesi, senza tutele, emarginati e privi di risorse, poco importa che siano studenti, senzatetto o tossicodipendenti.
13. Clientelismo e corruzione dilaganti
È spesso prassi, per chi ricopre cariche pubbliche e/o politiche rilevanti, instaurare un sistema di favoritismi e scambi utilizzando risorse della collettività.
14. Elezioni fraudolente
Fino al controllo della macchina elettorale, l’intimidazione e la privazione dei diritti civili degli elettori dell’opposizione.

Non troppo dissimile dall’analisi di Umberto Eco, sempre riassunta in quattordici punti nel saggio Il fascismo eterno (1995):
1. Culto della tradizione del passato, spesso interpretata sincreticamente.
2. Rifiuto del modernismo, anche in conseguenza al primo punto, e dello spirito illuministico.
3. Irrazionalismo e culto dell'azione fine a se stessa. Diffidenza per la cultura.
4. Rifiuto della critica e dello spirito critico.
5. Paura della diversità. Una conseguenza ne è il razzismo.
6. Frustrazione delle classi medie (piccola borghesia) a causa di crisi economiche o pressioni politiche.
7. Ossessione per i complotti, anche di tipo internazionale.
8. Percezione di una eccessiva forza di nemici esterni, che tuttavia si ritiene di potere battere. Questa contraddizione porta tipicamente a false valutazioni degli avversari e, in ultima istanza, ad essere perdenti negli scontri.
9. Idea della guerra permanente e contrasto al pacifismo. La pace definitiva avverrà solo dopo la vittoria finale.
10. Elitismo di massa e disprezzo per i deboli: pertanto, disprezzo da parte di ciascun ceto per il suo ceto subordinato.
11. Eroismo di massa e desiderio di immolare se stessi per la causa comune, ma più frequentemente di immolare altri.
12. Machismo, più semplice da gestire dell'eroismo.
13. "Populismo qualitativo". Data la negazione dei diritti individuali, il "popolo" è considerato un insieme unico la cui volontà deve essere interpretata dal leader.
14. Uso di una Neolingua, caratterizzata da una sintassi elementare e veicolante un ragionamento critico necessariamente limitato.

Riconoscete anche voi questi segnali? Le elezioni si avvicinano, pensateci prima di votare un candidato di regime.

CONTORNO > YAKIBITASHI DI ASPARAGI


Asparagi > 500 g
Mirin > 50 ml
Salsa di soia > 50 ml
Brodo dashi (o di pesce) > 250 ml
Alga konbu > 1
Olio EVO > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico

Versate il mirin, la salsa di soia e l'alga konbu nel brodo dashi (o di pesce) e portate a bollore.
Fate bollire per 1 minuto, quindi togliete l'alga e tenete da parte il brodo.
Lavate gli asparagi con acqua corrente e asciugateli con carta da cucina.
Spezzate con le mani le parti finali, più dure e bianche, e rimuovete le parti esterne dei gambi, verdi e filamentose, aiutandovi con un pelapatate.
Tagliate gli asparagi in tre parti e cuoceteli in una padella antiaderente con 100 ml acqua.
Una volta evaporata l'acqua, versate l'olio EVO, salate e grigliate gli asparagi.
Versate gli asparagi grigliati in una ciotola e copriteli col brodo, lasciandoli marinare per 20 minuti.
Impiattate gli asparagi in una coppetta, versando un goccio di brodo caldo in ognuna.

venerdì 17 maggio 2024

Purin alla vaniglia

Nonostante i budini “rappresi” si mangiassero anche nell’antico Egitto e nella Grecia classica, un punto fermo nella storia della crème caramel si deve di certo a Marco Gavio Apicio, vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.: nella sua opera De Re Coquinaria, il gastronomo, cuoco e scrittore romano svelò infatti la ricetta del tiropatinam (“patina alla crema di latte”), preparato con uova, latte e miele, e servito cosparso di pepe.  
Per la classica versione col caramello bisogna attendere l’XI secolo, quando la canna da zucchero fu portata in Europa dal Medio Oriente. 
Sebbene portoghesi (dulce de leche), inglesi (pudding) e spagnoli (flan) rivendichino in qualche modo la paternità di questo piatto, pur con evidenti varianti, una delle prime ricette pubblicate in Europa fu dello chef francese Jean Baptiste Reboul, nel suo La cuisinière provençale (1897). 
In Giappone la crème caramel si chiama purin e può essere cotto a vapore (mushi purin) o al forno (yaki purin). Introdotto durante il periodo Meiji (1868-1912) dopo la fine del sakoku (politica di autarchia praticata durante il periodo Edo dallo shogunato Tokugawa), era un privilegio della corte imperiale e dell’aristocrazia. Grazie a un programma promozionale governativo, alla fine della seconda guerra mondiale latte e latticini si diffusero anche tra la gente comune, così anche il purin preconfezionato divenne onnipresente in tutti i minimarket giapponesi, in versione classica o aromatizzato al matcha, alla patata dolce e alla zucca. 


Golosa di purin è la diciassettenne Makoto Konno, protagonista del cult movie La ragazza che saltava nel tempo di Mamoru Hosoda (regista che avrebbe dovuto dirigere Il castello errante di Howl), vincitore di sei premi al Tokyo International Anime Fair 2007 (miglior animazione dell'anno, miglior regia, miglior storia originale, miglior sceneggiatura, miglior direzione artistica, miglior character design).  
Come nel romanzo originale di Yasutaka Tsutsui, Makoto ottiene l'abilità di compiere piccoli balzi indietro nel tempo, ma cambiare il passato non è affatto semplice… e per ricaricare le energie non c’è nulla di meglio di un buon budino!

DOLCI > PURIN ALLA VANIGLIA


Latte intero > 1 l 
Uova > 10 
Zucchero > 250 g 
Vaniglia in polvere > 1 cucchiaino  

Per il caramello: 
Zucchero > 200 g 
Acqua > 100 ml  

Versate lo zucchero e l’acqua in un pentolino d’acciaio, mescolate e lasciate cuocere a fiamma dolce fino a che il caramello non prenderà colore.
Versate il caramello negli stampini prima che si solidifichi, avendo cura di coprire bene fondo e pareti.
Scaldate il latte in un pentolino, fino a sfiorare il bollore.
Con l’aiuto di una frusta elettrica, in una ciotola sbattete insieme 6 uova intere, 2 tuorli, lo zucchero e la vaniglia.
Versate il latte caldo nelle uova sbattute e continuate a montare.
Filtrate il composto e dividetelo negli stampini.
Cuocete in forno a bagnomaria per 30-40 minuti, finché i purin non si saranno rassodati.
Lasciate raffreddare i purin e conservateli in frigorifero almeno 6 ore prima di servirli. 



giovedì 8 febbraio 2024

Melanzane in salsa wafu con semi di sesamo e katsuobushi

Ieri sera a cena abbiamo parlato di conoscenza e consapevolezza.
Le cose che non so neppure credo di saperle. Non tutte, per lo meno.
Non so andare in bicicletta e fingere disinvoltura infilando certe strade in contromano. D’altra parte ho imparato a pedalare su una cyclette in palestra, che si è rivelata la miglior metafora della mia vita: giro a vuoto, arranco, fatico, penso, cresco, ma rimango sempre lì.
Non so dire le bugie, neppure quelle a fin di bene. Semplicemente non ho memoria, mi dimentico le cose e se dicessi una bugia finirei col farmi male da solo.
Non so mantenere i segreti, non l’ho mai imparato. Forse è per questo che non so nascondere i regali e so sempre dove cercare i miei.
Non so fischiare con le dita né arrotolare la lingua senza ritrovarmi in un lago di saliva.
Non so nuotare né andare sott’acqua senza tapparmi il naso con le mani.
Quello che non so, è soprattutto cosa aspettarmi dalla vita. È questo il manifesto dei sentimenti e delle incertezze che mi porto dietro. La paura del distacco.
Faccio gli stessi errori da moltissimi anni. Dovrei avere la sensazione di averne abbastanza, invece niente. Quello che non so e che continuo a non sapere è perché. Come mai quando si cerca di fare la cosa giusta, così spesso si sbaglia? Non un segnale d’allarme, non un presentimento, solo una recidiva, come quella di un melanoma che ti costringe a soffrire per la malattia e anche per la cura.
Ma ieri sera una cosa l’ho capita: anche le cose che non so sono parte di me, come quelle che so.

CONTORNI > MELANZANE IN SALSA WAFU CON SEMI DI SESAMO E KATSUOBUSHI


Melanzane > 2
Salsa di soia > 3 cucchiai
Aceto di riso > 3 cucchiai
Olio di semi di girasole > 3 cucchiai
Zenzero fresco > 2 cm
Peperoncino > 1 pizzico
Aglio > 1 spicchio
Miele > 1 cucchiaino
Semi di sesamo > 1 cucchiaio
Katsuobushi > 1 cucchiaio

Preparate la salsa wafu unendo in una ciotola la salsa di soia, l’aceto di riso (o il corrispettivo di aceto di vino bianco, con aggiunta di ½ cucchiaino di zucchero), l’olio di semi di girasole, l’aglio sbucciato e leggermente schiacciato, il peperoncino, lo zenzero grattugiato e il miele.
Mescolate e lasciate riposare per almeno 1 ora, quindi filtratela e tenetela da parte.
Togliete il picciolo alle melanzane, lavatele e sbucciatele.
Dividetele a metà e fatele cuocere al vapore per 15 minuti. Non sollevate il coperchio e non rimuovetelo fino a cottura ultimata.
Lasciate raffreddare le melanzane su un piano inclinato, in modo che perdano tutta l’acqua.
Una volta fredde, tagliatele a listarelle e conditele con la salsa wafu.
Impiattatele cospargendole con i semi di sesamo tostati e un pizzico di katsuobushi (fiocchi di tonnetto essiccato, fermentato e affumicato). 

giovedì 4 maggio 2023

Filetto di salmone alla soia con salsa di cipolle ai fichi

Ieri sera a cena abbiamo parlato di ex amici. Non è stato facile per S. tornare a fidarsi dell’amicizia. Liberarsi dei fantasmi del passato e affidarsi ancora una volta a qualcuno richiede tenacia e lei ha speso troppe energie per accettare il tradimento della persona a cui aveva dato la sua fiducia incondizionata. Non riusciva a trovare giustificazioni per quel tradimento perché l’amicizia non è di per sé accomodante, è più dogmatica dell’amore, non accetta sfumature di comodo ma solo colori primari. Se viene tradita è per sempre. Quell’abbandono era arrivato all’improvviso, in un modo del tutto inaspettato e l’aveva lasciata attonita, annichilita, incapace di reagire. Poi aveva provato odio e risentimento, sentimenti che dovevano essere elaborati e lasciati andare via. E finalmente un giorno ha capito che reprimere la rabbia, la tristezza e il dolore non era la strada giusta per andare avanti, così ha smesso di combatterli e di sopprimerli, riuscendo a sconfiggere il ricordo. Ce l’ha fatta perché ha smesso di ignorare una semplice verità: lei era innamorata di quel suo amico speciale, ma di un amore che non poteva essere ricambiato e che oggi, per sua fortuna, non esiste più.

 

SECONDI > FILETO DI SALMONE ALLA SOIA CON SALSA DI CIPOLLE AI FICHI

 


Salmone > 400 g

Cipolle > 300 g

Marmellata di fichi > 2 cucchiai

Brodo vegetale > 1 l

Olio EVO > 4 cucchiai

Aceto di vino bianco > 4 cucchiai

Zucchero > 60 g

Sale > 2 pizzichi

Pepe > 2 pizzichi


Per la marinatura:

Vino aromatico > 1/2 bicchiere

Salsa di soia > 4 cucchiai

Zucchero > 1 cucchaio

Zenzero fresco > 2 cm

Aglio > 1 spicchio


Sbucciate le cipolle, affettatele finemente, mettetele in una ciotola capiente e tenetele a bagno per 30 minuti nell’acqua fredda.

Preparate intanto la marinatura per il salmone: in una ciotola sciogliete lo zucchero nel vino bianco aromatico, aggiungete la salsa di soia, 1 spicchio d’aglio pestato e lo zenzero grattugiato.

Togliete la pelle dai filetti di salmone partendo dal lato della coda e mantenendo la lama quanto più possibile aderente alla pelle, per avere il minor scarto possibile. Eliminate con una pinzetta le eventuali spine rimaste e lavate i filetti per rimuovere le squame. Asciugateli con la carta da cucina.

Immergete i filetti di salmone nella marinatura e lasciateli riposare per 30 minuti a temperatura ambiente.

Scolate le cipolle e fatele cuocere in una padella antiaderente bagnandole col brodo vegetale, un mestolo alla volta.

Dopo 30 minuti aggiungete lo zucchero, 1 pizzico di sale, 1 di pepe e l’aceto di vino bianco, proseguite la cottura per altri 20 minuti e poi unite la marmellata di fichi. Cuocete la salsa mescolando spesso, fino a quando le cipolle non si saranno completamente disfatte.

Strofinate ora il fondo di una padella antiaderente con 1 spicchio d’aglio tagliato a metà. Aggiungete l’olio e rosolate i filetti di salmone (dopo averli asciugati bene con la carta da cucina) 2 minuti circa per lato, facendo attenzione che l’interno rimanga rosa.

Fate restringere la marinatura a fuoco lento.

Servite il salmone su un velo di salsa di marinatura e accompagnatelo con un cucchiaio di salsa di cipolle ai fichi.