martedì 30 ottobre 2012

Delizia di ricotta e fondente nero all’arancia

Una ricetta nasce sempre da un’idea. L’idea di cosa cucinare. Quello che conta è che sia pura, solida ed efficace.
Potenzialmente queste idee sono già tutte dentro di noi, dobbiamo solo imparare a trovarle e a tirarle fuori.
Io ho un taccuino da cui non mi separo mai. Annoto tutto ciò che mi stimola: una pietanza assaggiata in un ristorante, un ingrediente sconosciuto trovato in un supermercato biologico, conversazioni carpite in autobus o in treno, suggerimenti rubati a pescivendoli e macellai, un frutto di stagione che improvvisamente approda sul banco del mercato…
Molto spesso l’idea nasce da un accostamento tra due ingredienti. Quanto più l’accostamento è inusuale, tanto più ci illudiamo di avere inventato un piatto unico. Salvo poi scoprire che ricette simili riempiono decine di altri blog.
Ho iniziato a tenere un blog di cucina creativa perché ero stanco di leggere i post di tanti food blogger che suggerivano unicamente come condire bruschette, panini e insalate, o che si limitavano a variare le dosi di piatti tradizionali (generalmente dimezzandole o raddoppiandole) rubati dalla televisione, da libri di settore o, peggio, da altri blog.
Non dobbiamo aver la presunzione di cucinare qualcosa che non sia mai stato impattato prima, ma dobbiamo farlo in maniera originale e personale.
Ogni mio piatto è sempre filtrato attraverso la lente di un ingrediente principale, che domina la scena e impone un gusto che è solo suo. E che mi guida nello sviluppo della ricetta.
Cucinare – ma lo stesso potrei dire della scrittura – significa compiere delle scelte. Perché ogni piatto ha le sue difficoltà. E ogni difficoltà necessita di essere risolta. Questo significa che, mentre sto cucinando, sono costretto a cercare delle soluzioni. E quindi a variare i tempi o i modi di cottura, o semplicemente a trovare dei nuovi sapori da accompagnare. Spezie, erbe aromatiche, verdure…
A volte queste scelte sono ricompensate. Specialmente quando – dopo un’attenta ricerca su Internet – non trovo niente di simile alla ricetta postata. Come nel caso di questa Delizia di ricotta e fondente nero all’arancia, che ha la consistenza di una torta, ma la morbidezza di un dolce al cucchiaio...

DOLCI > DELIZIA DI RICOTTA E FONDENTE NERO ALL’ARANCIA

Ricotta vaccina > 500 g
Cioccolato fondente all’aroma di arancia > 250 g
Uova > 4
Zucchero > 150 g
Vaniglia in polvere > 1 cucchiaino
Savoiardi > 12
Limone > 1
Burro > 1 noce

Con l’aiuto di una frusta, montate la ricotta con lo zucchero, fino a quando il composto non risulterà spumoso e liscio.
Unite le uova montate alla ricotta, continuando a mescolare per ottenere una crema liscia e omogenea.
Aggiungete il cioccolato tritato grossolanamente (per questa ricetta consiglio la Tavoletta Arancia Nero Perugina o il Lindor Orange Lindt) e la buccia grattugiata del limone, continuando a mescolare per fare amalgamare tutti gli ingredienti.
Sbriciolate 6 savoiardi. Imburrate uno stampo per dolci a cerniera e cospargetelo di savoiardi sbriciolati.
Versate il composto di ricotta e cioccolato, e battete lo stampo sul tavolo per eliminare eventuali vuoti.
Sbriciolate i restanti savoiardi e cospargeteli uniformemente sul composto.
Cuocete in forno caldo a 180° per 40 minuti.
Servitelo a temperatura ambiente, con una leggera spolverata di cacao.



martedì 23 ottobre 2012

Spezzatino di maiale con mele, zenzero e sciroppo al basilico

Un tempo si scrivevano lettere agli amici, si spedivano cartoline. Sbirciavo nella buchetta sempre con una certa curiosità. Prendevo ogni busta e guardavo il francobollo per vedere da dove venisse. Poi la giravo per scoprire chi me l’avesse spedita. Infine l’aprivo e la leggevo.
Ho una scatola piena di lettere ricevute, oppure scritte e mai spedite. Risalgono ormai a molto tempo fa. Lettere d’amore, d’addio, d’amicizia, d’auguri. Lettere che danno voce a tanti perché.
Non riesco più scriverne, e neppure a rileggerle, ma è consolante sapere di avere ancora quella scatola. È una memoria virtuale o, più propriamente, un’estensione della memoria fisica.
Buttarla sarebbe come rinnegare una parte consistente del mio passato, i miei vecchi sogni e i desideri, le lacrime, le scelte, le sofferenze e le schiarite.
So che un giorno la aprirò. Quando sarà il momento giusto, quando non sentirò più odore di polvere e di muffa, ma odore d’amore.
Che ci volete fare, sono un romantico. Quando esco di casa, apro ancora la mia buchetta con la speranza di trovare una vera lettera. Ed è sempre con la stessa delusione che scopro di aver ricevuto solo bollette e réclame di ipermercati dove non andrò mai.

SECONDI > SPEZZATINO DI MAIALE CON MELE, ZENZERO E SCIROPPO AL BASILICO

Spezzatino di maiale > 800 g 
Cipolla > ½
Confettura di zenzero > 1 cucchiaio
Succo di mela > ½ litro
Sciroppo di basilico > 6 cucchiai
Limone > 1
Olio extravergine di oliva > 4 cucchiai
Sale > 1 pizzico 
Pepe > 1 pizzico

Tritate la cipolla e fatela soffriggere nell’olio extravergine di oliva. 
Salate e pepate lo spezzatino, e lasciatelo rosolare nel soffritto.
Unite un bicchiere di succo di mela, la confettura di zenzero e lo sciroppo di basilico.
Fate cuocere coperto a fuoco lento per un’ora. 
Sbucciate una mela, frullatela con il succo di un limone e unitela alla carne.
Aggiungete il restante succo di mela e proseguite la cottura per altri trenta minuti.
Sbucciate quindi le altre due mele, tagliatele a cubetti e versatele nella padella con lo spezzatino.
Proseguite la cottura (senza coperchio) per altri trenta minuti, sempre a fuoco lento, mescolando di tanto in tanto. Quando le mele saranno cotte e la salsa si sarà rappresa potete impiattare.
Servite lo spezzatino caldo con le mele e un trito di basilico fresco.

Se non trovate in commercio lo sciroppo al basilico, potete farvelo da voi:

Basilico > 200 g
Acqua > 500 ml
Zucchero > 1 kg
Limone > 1

Lavate le foglie di basilico, asciugatele delicatamente con uno strofinaccio pulito e mettetele nel mixer insieme a 250 g di zucchero.
Riducete il tutto in crema e fate riposare al fresco per un’ora.
Fate bollire l’acqua insieme al limone (non trattato) tagliato a pezzi.
Eliminate i pezzi di limone e versate nell’acqua la crema di basilico e lo zucchero rimasto, mescolando con una frusta perché si sciolga senza lasciare grumi.
Riportate a ebollizione e fate cuocere per 30 minuti a fuoco dolce, fino a quando lo sciroppo non avrà raggiunto la giusta consistenza.
Una volta tiepido, filtratelo con un colino a maglie strette foderato di garza, e versatelo subito in una bottiglia di vetro.
Conservatelo in frigo per un massimo di 4 settimane.

domenica 21 ottobre 2012

Quinoa con seppie al pomodoro e capperi di Pantelleria

Anche oggi il treno è in ritardo. A volte ringrazio i ritardi dei treni, perché mi permettono di rimanere in stazione un po’ di più. 
In quei momenti, mi scelgo un posto defilato e osservo la gente, cercando di capire dove andrà, che aspettative ha.
Le stazioni mi hanno sempre affascinano per la moltitudine di persone. Tutte diverse le une dalle altre, eppure tutte uguali. Le guardo allinearsi dietro la linea gialla, nell’attesa del treno. Ognuna con la propria storia che cerco di intuire da un gesto, un’espressione, un modo di vestire. Storie di uomini e di donne. Di quello che sono e di quello che non sono. O semplicemente di quello che avrebbero voluto essere.
Faccio il pendolare da quattro anni. Viaggio senza bagagli. Prendo treni di corsa, mentre in corsa arrivano al binario. Salgo nella calca e viaggio accalcato con estranei che sanno di fumo, di sudore, di McDonald’s o di fragranze dolciastre nebulizzate sempre troppo generosamente.
Noto subito i pendolari che incrocio con più frequenza. Li osservo uno per uno. Non ne conosco nessuno, ma ormai ho memorizzato le facce. Mi incuriosiscono soprattutto gli occhi che cercano altri occhi, che scrutano come alla ricerca di qualcuno.
Che belli gli sguardi sul treno, tutti un po’ lascivi, tutti che chiedono qualcosa, che cercano nell’altro un appiglio. C’è chi si innamora a prima vista e chi tradisce a ogni sguardo. E c’è chi piange per un amore finito, volgendo lo sguardo al panorama che passa veloce.
Guardare fuori dal finestrino è come cercare una risposta, una soluzione, una via d’uscita a una monotonia che non riusciamo a fuggire.
Osservo la gente che vive la propria vita, e mi rendo conto di quante facce abbiano oggi le nostre città. Una faccia per ogni giorno dell’anno.

SECONDI > QUINOA CON SEPPIE AL POMODORO E CAPPERI DI PANTELLERIA

Quinoa > 300 g
Seppie > 800 g
Passata di pomodoro > 250 g
Capperi di Pantelleria > 2 manciate
Dragoncello fresco > 1 mazzetto
Vino bianco > ½ bicchiere
Olio extravergine d’oliva > 4 cucchiai
Zucchero > 1 pizzico
Sale > 1 pizzico
Pepe bianco di Penja > 1 pizzico

Svuotate e pulite le seppie, eliminando l’eventuale osso contenuto nella sacca, gli occhi e il becco. Lavatele sotto l’acqua corrente e asciugatele con carta da cucina.
Fatele rosolare nella pentola a pressione con l’olio extravergine d’oliva, il dragoncello tritato, il pepe bianco di Penja e poco sale.
Versate il vino bianco e fatelo sfumare, quindi versate la passata di pomodoro, un pizzico di zucchero e i capperi.
Mescolate e chiudete la pentola a pressione.
Appena il sibilo si intensifica, abbassate la fiamma e cuocete per 10 minuti (il tempo può variare di qualche minuto a seconda della grandezza delle seppie).
Spegnete il fuoco, lasciate sfiatare bene, quindi aprite la pentola a pressione, togliete le seppie e tenetele da parte coperte.
Versate la quinoa nel liquido di cottura, mescolate e chiudete nuovamente la pentola a pressione.
Appena il sibilo si intensifica, abbassate la fiamma e cuocete per 2 minuti.
Spegnete il fuoco, lasciate sfiatare bene, quindi aprite la pentola a pressione.
Lasciate asciugare la quinoa a fiamma dolce, mescolando perché non si attacchi.
Impiattate la quinoa servendovi di un coppapasta. Guarnite con le seppie e una spolverata di dragoncello fresco tritato.

Originaria del Sud America, la quinoa è una delle piante con più proprietà nutritive al mondo: per il suo buon apporto proteico costituisce l’alimento base per le popolazioni andine.
Nonostante sia utilizzata come un cereale, per via del suo contenuto abbondante di amido, la quinoa non contiene glutine ed è quindi indicata nelle diete per celiaci. La trovate in erboristeria, nei negozi di alimenti biologici e nei supermercati NaturaSì.

martedì 16 ottobre 2012

Budino di cioccolato nero all'aroma naturale di menta con spuma di ricotta al Marsala

Qualche giorno fa, la rivista statunitense “New England Journal of Medicine” ha pubblicato on line i risultati di un’eccentrico studio, condotto da Franz Messerli del San Luke’s-Roosevelt Hospital e della Columbia University di New York. L’autore della ricerca stabilisce un nesso tra il consumo pro capite di cioccolato e il numero di Nobel vinti dai vari Paesi. Utilizzando i dati dei maggiori produttori di cacao in ventitrè nazioni, il medico ha redatto una singolare classifica: in testa troviamo la Svizzera che – in proporzione al numero di abitanti – è prima per consumo di cioccolato e per premi Nobel assegnati. A metà classifica troviamo gli Stati Uniti, l’Olanda, l’Irlanda, la Francia, il Belgio e la Germania, mentre parecchio più in basso si posiziona l’Italia, sotto l’Australia e poco prima della Spagna. Chiudono la classifica la Cina e il Brasile.
Mangiare cioccolato fa bene. Basta non eccedere.
Il consumo di cioccolato è in grado di far aumentare i livelli di colesterolo buono e di abbassare il colesterolo cattivo. Quello fondente in particolare è un alleato contro l’infarto, combatte l’ipertensione e tiene sotto controllo la pressione arteriosa: i suoi flavonoidi (composti chimici naturali diffusi nelle piante superiori) favoriscono infatti l’apertura dei vasi sanguigni, migliorando la circolazione e riducendo i valori della pressione.
Grazie al magnesio, il cioccolato agisce inoltre contro lo stress, attenuando l’irritabilità e il nervosismo. Ne bastano 40 grammi al giorno, il risultato è garantito! Inoltre, la teobromina e la caffeina contenute nel cioccolato alleviano la sensazione di stanchezza e favoriscono la concentrazione.
E che dire dei suoi benefici contro la depressione? Il cioccolato stimola la produzione di serotonina, di endorfine e di anandamide, sostanze che condizionano le nostre emozioni, i nostri stati d’animo e quindi il nostro umore.
Il cioccolato è infine un vero e proprio afrodisiaco naturale, merito di sostanze eccitanti come la feniletilamina, molecola prodotta naturalmente dall’organismo durante l’innamoramento. La sua attività avrebbe come principale effetto il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore legato alle sensazioni di piacere che soddisfano stimoli come fame, sete e pulsione erotica.
Non vi serviranno altre scuse, spero, per concedervi questo piccolo e innocente peccato di gola…

DOLCI > BUDINO DI CIOCCOLATO NERO ALL’AROMA NATURALE DI MENTA CON SPUMA DI RICOTTA AL MARSALA

Latte intero > ½ litro
Zucchero > 120 g
Ricotta > 250 g
Cioccolato all’aroma naturale di menta > 150 g
Cioccolato fondente > 30 g
Marsala > ½ bicchiere
Agar agar > 1 cucchiaino colmo
Latte > 1 tazzina
Miele > 1 cucchiaio

In un pentolino, fate sciogliere nel latte il cioccolato all’aroma naturale di menta (ottimo per questa ricetta il Lindt Excellence Menthe Intense).
Versate 100 g di zucchero e portate a ebollizione.
Abbassate la fiamma e aggiungete l’agar agar sciolto in un goccio di latte. Proseguite la cottura per cinque minuti esatti continuando a mescolare, poi spegnete il fuoco, versate negli stampini e lasciate raffreddare a temperatura ambiente per un’ora, poi trasferite il budino in frigo per sei ore.
Sciogliete 20 g di zucchero nel Marsala. Portate a bollore e proseguite fino a ridurre il vino a metà del volume iniziale. Fate raffreddare.
Passate la ricotta al setaccio, versatela in una ciotola di vetro, aggiungete il miele e montate il composto con una frusta. Versate lo sciroppo al Marsala continuando a battere fino a completo assorbimento.
Aggiungete il cioccolato fondente a pezzetti, mescolando delicatamente.
Sformate i budini (immergendo gli stampini velocemente in acqua bollente vi risulterà più facile) e decorateli con la spuma di ricotta al Marsala, guarnendo il tutto con cacao in polvere o pezzetti di cioccolato.

In molti mi chiedono cosa sia l’agar agar, alimento ancora poco diffuso nelle nostre cucine. Sappiate che si tratta di un gelificante naturale ricavato da alghe rosse. Ha un sapore tenue ed è ricco di minerali. Lo trovate in erboristeria o in farmacia.
In alternativa, per questa ricetta potete usare 8-9 fogli di colla di pesce (circa 16-18 g), seguendo le istruzioni sulla confezione. Prima, però, è bene chiedersi di cosa sia composta questa diffusissima gelatina essiccata. Originariamente la colla di pesce era ricavata dalla vescica natatoria dello storione e dalla cartilagine di pesce, ma oggi è prodotta prevalentemente utilizzando la cotenna del maiale insieme a ossa e cartilagini anche di origine bovina.
E con questo dovrei aver chiarito perché continuo a consigliarvi l’agar agar…

sabato 6 ottobre 2012

Gnocchi di ricotta con rana pescatrice e uva passa su coulis di mango e curry di Java

Mi sono spesso augurato la felicità. L’ho inseguita per strada, dove può essere raccolta o persa tutti giorni. Quella felicità che non riusciamo a esprimere, ma che allo stesso tempo richiede di essere nominata. Che vuole essere percepita, ma non cercata.
Non un piacere fatto solo di emozioni, ma una gioia profonda, che rilascia pace e speranza in fondo al cuore, che ti fa apprezzare la vita e giustifica gli sforzi che fai per continuare a guardare avanti.
Non una felicità di compromesso, che bisogna imparare a cogliere, ma una gioia improvvisa, che scioglie i pensieri e ti rende libero di sorridere senza vergogna, senza provocare l’invidia né il risentimento di nessuno.
In questi giorni sono felice come non lo ero da tempo. Non c’è nessun motivo in particolare, o forse ce ne sono semplicemente tanti, tutti insieme.
La felicità non ha alcun segno esteriore. Accade all’improvviso, è lunatica, ma quando arriva sa essere anche generosa.

PRIMI > GNOCCHI DI RICOTTA CON RANA PESCATRICE E UVA PASSA SU COULIS DI MANGO E CURRY DI JAVA

Ricotta di pecora > 500 g
Grana Padano > 150 g
Farina > 250 g
Uova > 2
Mango > ½
Rana pescatrice > 200 g
Uva passa > 40 g
Cipolla > ½
Latte > 1 bicchiere
Curry Java > 2 cucchiai
Olio extravergine d’oliva > 7 cucchiai
Curcuma > 1 pizzico
Sale > 1 pizzico
Pepe di Szechuan > 1 pizzico

Lavorate la ricotta fresca e asciutta con una forchetta fino a ridurla in crema.
Continuando a impastare delicatamente, unite il sale, il pepe, il Grana Padano, le uova e la farina setacciata.
Ottenuto un panetto liscio e omogeneo, dividetelo in quattro pezzi più piccoli e lavorate ognuno di essi con le mani, formando dei lunghi cilindri spessi un dito. Ricavate gli gnocchi tagliando i cilindri in pezzetti di 2 cm. circa, poi lasciateli asciugare sulla spianatoia infarinata.
Tritate intanto finemente la cipolla e fatela dorare in due cucchiai di olio extravergine d’oliva.
Unite la farina e mescolate, stemperando con il latte.
Portate a bollore, quindi aggiungete il mango frullato e il curry di Java (un rinfrescante mix di curcuma, coriandolo, fieno greco, limone, zenzero, chili e alloro). Naturalmente potete sostituire il curry di Java con quello a voi più gradito.
Abbassate la fiamma e continuate la cottura fino a quando la salsa non sarà raddensata.
Prendete la coda della rana pescatrice, privatela della lisca centrale e tagliate i due filetti a straccetti.
In una padella antiaderante, cuocete il pesce in tre cucchiai di olio extravergine d’oliva, finché non sarà ben dorato.
Aggiungete un pizzico di curcuma, l’uva passa e lasciate insaporire per qualche minuto.
Cuocete gli gnocchi di ricotta in abbondante acqua salata. Non appena salgono in superficie, scolateli, trasferiteli nella padella e fateli saltare velocemente nel condimento.
Versate in un piatto fondo un mestolo di coulis di mango e curry di Java, sul quale andrete ad adagiare gli gnocchi di ricotta con rana pescatrice e uva passa.

lunedì 24 settembre 2012

Pasta fredda al pesto di menta e mandorle con filetti di sgombro e uva passa

Ogni tanto mi capita ancora di incontrare persone conosciute al Sushi Café Kappa. Anche l’altra sera, alla storica grigliata LGBT di Circomassimo Arcigay e Arcilesbica Ferrara.
In una mia precedente vita avevo un locale a Bologna, un po’ ristorante e un po’ discobar. Era in pieno centro, all'interno di un ambiente seminterrato dove scorreva l'acqua sui muri, con un lungo banco di cristallo e dove i giochi di luce si sprecavano. Era la mia seconda casa. Di giorno scrivevo fumetti e di sera mi muovevo tra la cucina e la mia postazione di barman. Era un posto dove parlare, mangiare e ascoltare buona musica prima di andare in discoteca. La nostra specialità erano sushi e ramen, ma al rigore delle ricette giapponesi alternavamo ogni tanto piatti fuori menù di cucina fusion, secondo un processo squisitamente interculturale.
A un certo punto ho abbandonato la ristorazione per dedicarmi completamente ai fumetti. E alla mia vita privata, soprattutto. Succede. Un giorno capisci che è arrivato il momento di investire su se stessi. E con un certo sollievo posso dire che, a distanza di dieci anni, so di aver fatto la scelta giusta.
Serve il tempo per costruirsi e godersi una famiglia. La famiglia ti ricompensa sempre delle rinunce fatte, ti dà dei tempi nuovi, riequilibra il tuo bioritmo, ti rende migliore, e quando è il momento di ributtarsi nella mischia ti sostiene nelle sfide che verranno.
Pur continuando a scrivere, sono tornato così al mio vecchio amore per la cucina. Cene a domicilio, corsi di cucina creativa, e qualche evento speciale, come AltroGrill. Venerdì sera ho cucinato a Ferrara per oltre centoventi persone: insalata ai tre cereali con pancetta caramellata, mele verdi e fiocchi di paprica rossa; insalata di pasta alla Norma; insalata di misticanza con finocchi e arance; pollo in umido con pomodori pachino confit e… questa deliziosa pasta fredda (a quanto pare la più gettonata)!

PRIMI > PASTA FREDDA AL PESTO DI MENTA E MANDORLE CON FILETTI DI SGOMBRO E UVA PASSA

Fusilli > 350 g
Filetti di sgombro > 400 g
Uva passa > 120 g
Menta fresca > 30 g
Mandorle pelate > 40 g
Parmigiano > 40 g
Olio extravergine d’oliva > ½ bicchiere
Pepe bianco di Penja > un pizzico
Sale > un pizzico

Cuocete i fusilli al dente in abbondante acqua salata, scolateli e fateli raffreddare con un getto veloce di acqua fredda. Scolateli nuovamente, asciugateli con uno strofinaccio pulito e versateli in un’insalatiera.
Fate molta attenzione: se i fusilli rimangono bagnati assorbiranno l’acqua, e la pasta risulterà collosa.
Condite con poco olio extravergine d’oliva e lasciate riposare in frigo per circa un’ora.
Lavate intanto delicatamente le foglie di menta e asciugatele su un foglio di carta da cucina.
Frullatele nel mixer assieme alle mandorle pelate e al parmigiano reggiano, aggiungendo l’olio a filo fino a ottenere la giusta consistenza. Una volta pronto, aggiustate il pesto di sale, a seconda del vostro gusto.
Condite la pasta col pesto, l’uva passa e i filetti di sgombro spezzettati.
Prima di servire, profumate il piatto con un’abbondante grattata di pepe bianco di Penja.
Questo pepe camerunense è tra i più raffinati e aromatici che esistano in commercio. Ha un retrogusto alla noce, e il suo sapore rotondo e per nulla invadente ben si abbina a questo piatto.
In alternativa potete usare del comune pepe bianco.

Alcuni scatti da AltroGrill 2012 – GrillArt Edition…

 

domenica 16 settembre 2012

Fesa di tacchino in umido con zucchine e pomodorini trifolati

Ho sempre amato il vintage, forse perché indossandolo si ha la consapevolezza di essere unici. Quelli vintage sono prodotti ineguagliabili, ricchi di personalità e storia. Sono realizzati con materiali eccellenti e una cura che oggi sarebbero fuori della portata dei più, e rappresentano una varietà di stili che non può essere preda dalla moda corrente. Un valore aggiunto inestimabile, in quest’epoca di globalizzazione forsennata.
Eco sostenibilità, riduzione dello spreco, estetica vintage. Il termine si utilizza anche per definire la moda d’epoca, intesa come patrimonio storico e culturale.
Abiti, accessori, oggetti di design… Ma si potrà parlare anche di ricette vintage?
D’altronde, il vintage ha a che fare con la cucina, almeno in senso lato: il termine deriva infatti dal francese antico vendenge, che indicava i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori, diventato poi sinonimo dell’espressione d’annata.
E così ho ripensato alla cucina della mia famiglia, a quando ero bambino. Ricordo le mie idiosincrasie nei confronti di alcuni cibi. La fesa di tacchino, per esempio. Nonostante amassi il petto di pollo, specialmente alla panna. Era impossibile ingannarmi. Essendo così magro, trovavo il tacchino stopposo, per nulla saporito. Poi, un giorno, mia madre l’ha cucinato in umido, con le zucchine e i pomodorini, e me ne sono innamorato.
Era da molti anni che non lo mangiavo. Così, al ritorno dal Padova Vintage Festival, mi sono dedicato una ricetta degli anni Settanta. Con le verdure e le erbe aromatiche dell’orto, perché per una ricetta vintage servono alimenti eccellenti. E una cura speciale.

SECONDI > FESA DI TACCHINO IN UMIDO CON ZUCCHINE E POMODORINI TRIFOLATI

Fesa di tacchino > 4 fettine
Zucchine > 6
Pomodori datterini > 300 g
Vino Porto > 1 bicchierino
Aglio > 1 spicchio
Menta > 1 rametto
Melissa > 1 rametto
Olio extravergine d’oliva > 4 cucchiai
Burro > 1 noce
Sale > 1 pizzico
Pepe > 1 pizzico

Lavate e spuntate le zucchine, quindi affettatele a rondelle sottili.
Scaldate l’olio extravergine d’oliva in una padella antiaderente, e fate dorare lo spicchio d’aglio sbucciato e schiacciato.
Aggiungete le zucchine, il sale e il pepe, e fate cuocere a fuoco vivo per almeno 10 minuti, mescolando delicatamente perché la verdura non si attacchi al fondo.
Unite i pomodori datterini lavati e tagliati a metà per il lungo, coprite con un coperchio e continuate la cottura ancora qualche minuto, abbassando la fiamma.
Attenzione: se le zucchine sono fresche e sode cuoceranno presto, altrimenti la cottura richiederà più tempo. Assaggiatele, e non avrete dubbi.
Togliete le verdure e conservatele in un piatto.
Versate nel fondo di cottura una noce di burro. Fate rosolare le fettine di tacchino passate nella farina, quindi sfumatele con un bicchierino di porto, che farete evaporare velocemente.
Una volta cotte, aggiungete le verdure trifolate, qualche foglia di menta e di melissa tritate, e fate insaporire per un paio di minuti.

Una variante gustosa? Aggiungete alle zucchine una melanzana tagliata a cubetti!

domenica 9 settembre 2012

Costine di maiale alla frutta secca in salsa alla liquirizia e ras el hanout

Ho un sangue impaziente. Vivo la sensazione malinconica di non appartenere a nessuna terra veramente, ma le mie origini sono condite dai caldi sapori del sud e portano con sé gli aromi di mille spezie.
Pur essendo nato a Bologna, difendo tradizioni, culture, mentalità, persino amenità e colori, con fierezza di meridionale.
– Torno al sud – scriveva Fernando E. Solanas, – come si torna sempre all’amore. Torno da te con il mio desiderio, con la mia paura. Porto il sud come un destino del cuore. Sono del sud come le arie del bandoneon. Sogno il sud, luna immensa, cielo a rovescio. Cerco il sud, il tempo aperto e il suo dopo. Amo il sud, la sua gente buona, la sua dignità. Sento il sud come il tuo corpo nell’intimità. Ti amo sud. Sud ti amo.
Anch’io amo il sud con tutto ciò che gli appartiene. Il sud del mondo condivide più o meno la stessa storia e lo stesso destino: depredato, saccheggiato, tenuto lontano dal progresso e abbandonato a se stesso. L’idea del sud è spesso associata all’idea di povertà e degrado, ma il sud è molto più di questo: è la metà del mondo da cui troppe volte vorremmo separarci e da cui invece avremmo molto da imparare. Anche in cucina.
Un buon piatto non ha sempre bisogno di grande elaborazione. Bastano pochi ingredienti di qualità. Magari proprio del sud, come la liquirizia calabrese o il ras el hanout utilizzato nelle zone settentrionali dell’Africa. D’altronde quello del profondo sud è un concetto relativo. Ogni sud ha il suo sud.

SECONDI > COSTINE DI MAIALE ALLA FRUTTA SECCA IN SALSA ALLA LIQUIRIZIA E RAS EL HANOUT

Costine di maiale > 12
Liquirizia in polvere > 1 cucchiaio
Ras el hanout > 1 cucchiaio
Prugne secche > 200 g
Uva passa > 50 g
Mandorle a scaglie > 25 g
Olio extravergine d’oliva > 4 cucchiai
Vino bianco > 1 bicchiere
Sale > 1 pizzico

Lavate e asciugate le costine di maiale.
Fatele rosolare nella pentola a pressione con l’olio extravergine d’oliva, la liquirizia in polvere (se non la trovate potete polverizzare al mixer la liquirizia pura Amarelli) e il ras el hanout (miscela diffusa in tutto il Nordafrica, sostituibile con normale curry o con un buon mix di spezie per il cuscus).
Versate il vino bianco, le prugne secche e l’uva passa.
Mescolate e chiudete la pentola a pressione.
Appena il sibilo si intensifica, abbassate la fiamma e cuocete per 20 minuti (il tempo può variare di qualche minuto a seconda della grandezza delle costine).
Spegnete il fuoco, lasciate sfiatare bene, quindi aprite la pentola a pressione, togliete le costine e tenetele da parte coperte.
Fate restringere il fondo di cottura aggiungendo un altro pizzico di liquirizia.
Rimettete le costine nella pentola e fatele insaporire.
Impiattatele ancora calde guarnendole con le mandorle a scaglie tostate in una pentola antiaderente.

La pentola a pressione garantisce non solo una diminuzione dei tempi di cottura, ma anche una riduzione dell’esposizione degli alimenti alle alte temperature e, soprattutto, una minore quantità di grassi. Dal momento che l’evaporazione è minima, gli aromi non saranno dispersi (usate quindi meno sale rispetto alla cottura tradizionale).
Se non avete (o temete) la pentola a pressione, potete cucinare le costine di maiale per circa un’ora in una normale pentola antiaderente, bagnando di tanto in tanto con brodo vegetale.
E ricordate: le costine sono perfettamente cotte quando la carne si stacca facilmente dall’osso.